La zona di mezzanotte

Una recensione di "Fosforescenze" di Valentina Furlotti
24 Giugno 2024

 

Fosforescenze è l'opera prima di Valentina Furlotti, nata a Parma nel '93, uscita per Interno Libri nella collana Interno Versi con prefazione di Valerio Grutt. Di questo libro si apprezza sia la naturalezza con cui l'autrice si appropria di un linguaggio scientifico ricco di specificità, sia una scelta di vocabolario che rimanda a una dimensione di incanto privato, che spazia tra il mistico e il quotidiano, riuscendo a costruire un'atmosfera originale seppur riconoscibile. Il carattere atmosferico di Fosforescenze, tuttavia, può anche essere visto come il suo punto debole, in quanto il gioco di luci, ombre e bagliori a cui si fa riferimento nella maggior parte delle poesie non sembra essere una linea tematica abbastanza forte da reggere la raccolta nella sua interezza. Ma andiamo con ordine, per tre punti.

 

Il buono

 

Valerio Grutt sceglie di aprire la prefazione al libro parlando di "talento puro". Si potrebbe dibattere a lungo sull'idea di "purezza" del talento, ma detto questo, il talento qui non manca: Furlotti regala al lettore versi come: Nella zona di mezzanotte a qualche / grado sopra zero una luce brilla / nel liquido amniotico: è l'insidia / della predazione; in cima all'illicio / su una mandibola di aghi ricurvi / batteri azzurri bioluminescenti. Oppure: i reni pesano come macigni / a grappolo e la sfera di cristallo / è capovolta eclissi.  Insomma, quando Valentina Furlotti parla di qualcosa in apparenza inafferrabile chiamando in causa animali che brillano negli abissi con il loro nome scientifico (il melanoceto), facendo riferimento alle specificità di una malattia avvalendosi del lessico medico, oppure raccontando di diversi episodi storici accomunati dal contatto tra esseri umani e materiali radioattivi, lo fa con doverosa attenzione, restituendo alle luci e alle ombre in questo libro la reciproca ambivalenza. Lo spiega nella poesia Referto che può essere letta come una dichiarazione di poetica, benché in superficie appaia come una descrizione di una lesione solida benigna: 
Ho una biglia oscura nel petto / ipoecogena. Assorbe ogni voce / si nega allo sguardo. Immobile / cova disgrazie, ma è benevola / con me [...]. Se il nero assorbe la luce, l'autrice si appropria di una serie di dati oggettivi per riproporli al lettore in una nuova veste: anche dalle poesie più "scientifiche", o da quelle in cui Furlotti racconta di una persona altra con apparente distacco, trapela una sensibilità di stampo religioso, che nell'ultima sezione si palesa senza ulteriori espedienti. 

 

Il meno buono

 

Come già accennato prima, però, la fosforescenza non sembra essere un tema abbastanza forte per tenere insieme tutti i componimenti presenti nell'opera, perché non è propriamente un tema- dovrebbe essere intesa come una metafora, ma diventa metafora di così tante cose che alla fine non è più una metafora, ma una presenza ricorrente nel libro, un dato oggettivo non diverso da quello che l'autrice riesce a trascendere quando si avvale di una terminologia straniante e precisissima per orientare la propria lirica. È opportuno precisare innanzitutto come Fosforescenze abbia sezioni più deboli di altre: Supernova, a mio avviso, con le sue atmosfere domestiche da cui traspare la quotidianità a volte precaria di un rapporto amoroso, risulta più difficile da ricondurre per stile e temi al resto del libro. Invece Fosforescenze, la sezione eponima, spicca per compattezza: è composta di singole poesie semi narrative che, partendo dalla scoperta del Radio e del Polonio, racconta diverse storie che hanno a che fare con la radioattività. Se qui la scelta di raccontare vicende molto distanti l'una dall'altra per tempo e luogo è giustificata dalla ricostruzione-ricontestualizzazione che l'autrice fornisce in chiave di un elemento comune, non si può dire lo stesso per tutte le altre poesie che costruiscono il libro. In conclusione, come la fosforescenza che dà il titolo alla silloge, il tema qui sembra presente, chiaramente visibile, pur non dando l'impressione di avere un vero e proprio peso- peso che non manca ad altri elementi chiamati in causa nei singoli testi. 

Conclusione 

 

Proprio come le Marie e  i Pierre raccontati da Furlotti, anche il lettore guarda le luci blu senza avvertirne l'autentica pericolosità o comprendere appieno le implicazioni della scoperta. Sebbene la tenuta dei singoli testi sia ottima, l'opera nella sua totalità sembra mancare di sviluppi. Leggendolo, non si ha l'impressione di avere tra le mani un libro, ma una raccolta di poesie, alcune molto belle. Come scrive Grutt nella prefazione, Furlotti aspira ad essere senza tempo e, a volte, ci riesce; altre volre però si ha l'impressione che questo libro non abbia un tempo e non abbia un luogo. È anche vero, se prendiamo l'affermazione di Grutt come un'osservazione puramente tecnica, che se alcuni versi hanno un respiro iper-contemporaneo, altri non rinunciano né all'eredità novecentesca (Maria Luisa Spaziani, per fare un nome, che aveva anche lei scritto poesie sulla radioattività) né a porsi in diretto rapporto con le generazioni di poeti che hanno preceduto l'autrice (ci ho visto tanto della poesia di Antonio Riccardi, con l'attenzione al dettaglio incongruo, la costruzionedi un paesaggio colto in un momento di immobilità). Il fatto che Furlotti sappia mettere in dialogo il passato e il presente della poesia in un singolo componimento è già abbastanza per aspettarsi molto da lei in qualità di poeta. Ciononostante, Fosforescenze, di per sé, non mi basta ancora - la sfida che l'autrice pone rimane ancora aperta.