la Tempesta ordinata

Alcune poesie da "Inferno minore" di Claudia Ruggeri
1 Marzo 2024

 

Claudia Ruggeri nasce nel 1967 a Napoli, ma si trasferisce a Lecce, città d’origine del padre, l’anno seguente. Muore nel 1996. Nel corso della sua vita ha progettato due libri: Inferno minore, da cui provengono i testi che seguiranno, uscito postumo nel 1996 su un numero speciale della rivista “L’incantiere", e )e pagine del travaso. Gran parte della sua opera è contenuta in Poesie. Inferno minore e )e pagine del travaso, Neviano, Musicaos Editore, 2018, a cura di Annalucia Cudazzo, a cui faccio riferimento, sia per quanto riguarda la dicitura in cui sono riportati i testi che per quanto riguarda la nota di lettura che segue, in cui proverò a fornire un'interpretazione partendo da quella avanzata da Cudazzo.

*

Da: il Matto I (del buco in figura)

 

 

"Vidi la donna che pria m'appario

velata sotto l'angelica festa..."

Pg. XXX, 64

 

 

come se avesse un male a disperdersi

a volte torna, a tratti

ridiscende a mostra, dalla caverna risorge

dal settentrion, e scaccia

per la capienza d'ogni nome (e più distratto

ché sempre più semplice si segna ai teatri,

che tace per rima certe parole...).

Ma è soprattutto a vetta, quando buca,

dove mette la tenda e la veglia

tra noi e l'accusa, se ci rende la rosa

quando ormai tutto è diverso che fu

il naso amato o l'intenzione, che era

la pazienza delle stazioni e la rivolta... e la beccaccia

sta e sta sforma il destino desta l'attacco l'ingresso disserra

la Donna che entra e fa divino ed una luce forsennata

e nuda, e la mente s'ammuta ne la cima

e la distanza è sette volte semplice e il diavolo

dell'apertura; ecco, chiediti, come il pensiero sia colpa

 

(...)

 

*

 

lettera al Matto sul senso dei nostri incontri

il logoro (mode d'emploi)

 

 

"E tu non prendi ch'io t'adori a sdegno 

in un volto che fésti a tua sembianza

più che in tela dipinto o sculto legno"

Ciro di Pers

 

 

 

se ti dico cammina non è perché presuma

di parlarti: alla montagna, alla malia

di milioni di lame, arrivarono a migliaia

cose nude si sparirono bestie, alla neve

al malozio della trappola, tutto

s'esiliava a quel richiamo disanimale.

ma chi nega che in tanta sepoltura

sia avvenuto al pendio un biancore vero

o lo strano brillio che ti destina se la passi,

e pur e pur non sfondi

alla tagliola che non scatta, e più

non si stravolge l'inerzia della lettera, ne anche

tiene lo sporco della suola; si noda

tutta al Trucco che l'immàcola, s'allenta,

a tratti s'allaccia cose che muoiono,

solo scali, cose già sganciate...

 

a te a te altro ti tiene, non la parola,

per te s'alleva una tortura dentro la bara

della Figura, una condanna alla molla

maligna, al Carnevale abominevole, alla cantina

cattiva di finisterrae violenta

dove s'aduna, al molo, ogni bestiario

qualunque personaggio, alcun oggetto, per una muta

buia dell'attore, per un aumento in male, per l'alta

fantasia che mi ritorna di tanta cerimonia.

incorreggibile, per una benvenuta dismisura, per

me che fui per te senz'anima

e feci un patto al malto

sul seme di un'estate

dove esplose la leva che divina;

che sbotola che lima, per te seppi, se sia l'afrore

o la Macchia del logoro, che cova sul monte

il fondo lo scatto l'inverno del falco

 

*

 

lamento dell'Amante

 

 

"II playback è il nostro destino,

la nostra vera oppressione. Raccomando

l'evidenza del disturbo-attore."

Carmelo Bene

 

 

 

la sua sparizione non ebbe l'ordine

degli organi; l'anello che cattura

e azzera l'estensione; il Tondo

che addormenta. piuttosto fu

una Visita, una Punta

dell'anima che sbenda

l'amante distratto lo castiga

ad una vista che non stuta; a questo evo

del randagio tra mezzo ad un atlante

che inonda non avviva e che voce che corre

che erra che manca che Debolezza poco

poco peso poca memoria poca: non evacuare

e svilupparsi da tuttequante l'ali.

 

*

 

lamento dello Straniero I

 

 

"Un cielo così azzurro

che apre la bocca e inghiotte

polvere mosche e strade"

Vittorio Bodini

 

 

ed un giorno mi diedi a distinguere

da quistu, quiddu; ma la conversazione

non dà alloggio, non rivela dov'è

la vera Serratura, se esista un dio Contrasto

che scentra qui l'Uguale

litoraneo e del vedere l'angelo

arrovescia per la corte del porto

che arriva -e tutto tutto excrucere

a festa- e arriva di alberi e arrivi e arriva

di abbracci e di bianchi; per la pianura

al Dimenticatore inarca

atleti d'acqua e lo straniero inspira

l'ansa ghiotta e la solarità confitta e questa

voglia a dire a riempire a rivestirsi

 

*

 

lamento dello Straniero II

 

 

"Le glaive de l'indifférence de l'étoile

blesse une fois de plus la terre du dormeur"

Yves Bonnefoy

 

 

pure -se t'imbatti nel suo petto-, un Punto

di muta, un vento

di repentaglio, si cede alla Maria -ritenuta

la Gatta-, allo sfarzo della sua assidua

demenza, al vanitoso

articolo tra questo agosto

ed il suo addome strano; e sia Nostra Signora

Distrazione! incuta

una soltanto notte, che non

snaturi! levi anche quaggiù il Divoratore un buio

scellerato ma se, Maria, io t'ho

incontrato, non è stato

che per un divieto a liberarti

 

*

 

la pena dell'Attore

 

 

"se il chiarore è una tregua,

la tua chiara minaccia la consuma".

Eugenio Montale

 

 

è qui che incontro l'ultimo Cattivo, il residuo

rosicchio di semenza, l'antenato Attore; dal precipizio

accanto, il suo spettatore lo trattiene

a un fronte candidissimo; dal vano

che cava e spaventa in tanta mediterranea

Evidenza; da dentro questo falco che cade.

che ventila da dentro questo volo che scaverna rotondo,

maniaco; dal ventre, che scaraventa;

che mostro Balena l'accolga, l'incagli;

gli dia un esilio vero, un lungo errore

 

*

 

congedo

 

 

"Le fer de mots de guerre se dissipe

dans l'heureuse matière sans retour".

Yves Bonnefoy

 

 

così, dal Colmo, ormai, nuoce

il dimandar parenze, come

il Distrarsi. Lasciatemi

a questa strana circostanza. Qui

so, con il mio amore, e con chiunque

vi arrivi, che a questo inferno

minore, tutto è minore; medesimo

è solo il Carnevale.    Ahi l'impostura

seguente      che riduce     che quagiuso nemena

 

 

Nota di lettura

a cura di Rebecca Garbin

 

Nella scelta delle poesie che avete appena letto, ho cercato di includere i testi da cui emerge in modo più esplicito il tema di Inferno minore, al fine di renderne più facile la comprensione al lettore neofita. Un buon punto di partenza per capire meglio l'opera di Claudia Ruggeri può essere quello che scrive Annalucia Cudazzo, in riferimento al testo il Matto I (del buco in figura): 

"questo apparente disordine rende più complesso il lavoro di interpretazione letterale di questi versi e l'unica frase perfettamente corretta dal punto di vista grammaticale è costituita dall'ultimo verso: («ecco, chiediti, come il pensiero sia colpa»). Con questa espressione, la poetessa dà una chiave di lettura di tutta l'opera e anche di tutto il suo modo di fare poesia: non sarebbe azzardato definire pertanto il primo componimento della raccolta come un manifesto poetico della Ruggeri (...) Così, già nel primo componimento della sua prima opera, la Ruggeri introduce un tema fondamentale e corrente nelle sue poesie e che riveste un ruolo imporiante anche nella sua psiche: l'horror vacui. Tormentata da una sorta di cenofobia, la poetessa comprende la necessità di arrendersi di fronte al vuoto che, secondo lei, ogni essere vivente ha dentro di sé ma solo la sua consapevolezza può rendere gli uomini artisti". 

Sebbene non ritenga prudente affidarsi a interpretazioni psicoanalitiche quando si tratta di poesia, talvolta eccessivamente fuorvianti quando si parla di autori suicidi, credo che il tema del vuoto, o della paura del vuoto, sia da considerarsi fondamentle per orientarsi nell'opera di Ruggeri. A un primo sguardo Inferno minore può apparire come un “gorgo”, quando in realtà si tratta di un testo stratificato e studiato nel dettaglio. Certo, il lessico altissimo, ricco di termini ripresi dall'italiano trecentesco accompagnati da espressioni dialettali, sul lettore ha un effetto straniante, così come l’accumulo di parole già di per se stesse cariche di significato, anzi, significati e riferimenti meta e inter testuali. Ciononostante, leggendo non si ha mai l'impressione che la poesia di Ruggeri sia caotica: se questo libro è "senza controllo" (come scrive nella poesia: il Matto III (dell'interruzione in favola)  / Romeo di Villanova) non è certo senza ordine: l’autrice stessa l’ha costruito in modo tale per cui il lettore non si trovasse sprovvisto di un filo conduttore interpretativo. L’impalcatura della silloge è solida, a chi vi si approccia è richiesto soltanto di prestare attenzione ai dettagli più o meno evidenti che mettono in dialogo i testi che compongono tutte e tre alle sezioni del libro: il Matto (prosette), interludio e Inferno minore

Nella prima sezione, dedicata all'ultimo degli arcani maggiori dei tarocchi, il tema del vuoto compare incarnato nella figura eponima. 

"[Secondo] Oswald Wirch, nel 1973, in I Taracchi, probabile lettura di Claudia Ruggeri, [il Matto] è l'arcano privo di numero (convenzionalmente ricopre il ventiduesimo posto, ma il suo valore simbolico è lo zero, perché è un personaggio che non conta nulla), in quanto l'interpretazione divinatoria lo identifica con «il fantasma irreale che noi evochiamo con il nome di Nulla»: il Matto è la personificazione della sostanza passiva del «Nulla che riempiva il vuoto primordiale da cui tutto proviene», è un «soggetto ipnotico che corrisponde al vuoto, alla Nullità, alta «Notte cosmogonica»”.

sottolinea puntualmente Cudazzo nel suo commento. È opportuno notare come la parola "fantasma" compaia anche nella citazione a Melville che apre la sezione: «sebbene in diversi stati d'animo l'uomo si compiaccia di simboleggiare col bianco tante cose delicate o grandiose, nessuno può negare che nel suo profondo ideale significato la bianchezza evochi nell'anima come uno strano fantasma». 

Nella terza sezione, invece, il vuoto assume esplicitamente il carattere di distrazione, di demenza, di vuoto di memoria: fin dalla prima poesia, lamento dell’Amante, Ruggeri fa riferimento a un “amante distratto”, possibile controparte della voce narrante, in lamento dello Straniero I compare la figura del Dimenticatore, mentre in lamento dello Straniero II è la Madonna a rappresentare la dimenticanza, essendo rappresentata come una ragazzina tanto distratta da non accorgersi di essere incinta, “nostra signora distrazione”. Vale la pena precisare che Ruggeri, pur servendosi di un immaginario religioso, non si attiene al canone cattolico: anche la figura dell'Arcangelo Gabriele non è dipinta in una luce totalmente positiva (come si può leggere nella poesia lamento della Sposa barocca (che ho scelto di non includere qui essendo il testo più antologizzato di Ruggeri), e la natura di Dio stesso è ambigua, poiché pur rappresentando la salvezza condanna gli uomini a torture e sofferenze, perché questi non hanno saputo distrarsi, dimenticare sé stessi, accettando così di essere oblio. La teologia negativa ha una lunga storia, e con questo termine non si intende solo una visione secondo la quale la vera natura di Dio è oscura e inconoscibile, se non per intuizione- Meister Eckhart, teologo tedesco attivo tra la fine del 1200 e il primo 1300, scrisse: «Io dico anche: Dio è un Essere? - non è vero; è (molto più) un essere che trascende l'essere e una nullità che trascende l'essere ». Dio per Eckhart è inconoscibile in quanto "sine modo", e se si proverà a conoscerlo con la mediazione della memoria, della volontà, della logica e dei sensi si potranno avere come termini di riferimento solo enti determinati, finiti, che quindi non possono descrivere la natura, che (facendo l'errore che Eckhart avrebbe rimproverato) può essere immaginata come un vuoto, che non potendo essere nient'altro che se stesso e non somigliando a nient'altro che se stesso può essere concepito solo come nulla. «Vuoi conoscere Dio nel modo divino, così che la tua conoscenza diventerà pura ignoranza e oblio di te stesso e di tutte le creature?» Dice ancora Eckhart. Il suo pensiero sarà ripreso da Schopenhauer, ma soprattutto da Schelling, nei testi oggi raccolti nel volume "scritti sulla filosofia, la religione, la libertà" edito Mursia. Uno dei motivi per cui non mi piace interpretare in chiave psicologica la poesia dei suicidi, è che così facendo si tende ad avere una visione sentimentalista della loro poesia, anche qualora tratti effettivamente i temi della sofferenza psichica come in questo caso, che porta a tralasciare altri aspetti del loro lavoro e soprattutto della loro riflessione, troppo spesso liquidata come sintomatica di un’instabilità mentale. La depressione presunta o accertata di un poeta non è quasi mai il solotema dei suoi scritti, specialmente in un caso in cui al lettore viene direttamente presentato un discorso di carattere esistenziale, per quanto pessimista possa essere il discorso in questione. Insomma, credo che la fissazione sulle vicende biografiche di uno scrittore possa fuorviare chi si approccia alla sua opera, o alla critica su di essa. Pensare a Claudia Ruggeri come a una sibilla dalla voce ipnotica, a un’eroina tragica il cui lamento assume valore in relazione a una sorte che già conosciamo a posteriori. Fortini scriveva della sua poesia: “il punto non è di scrittura ma di esistenza". Io direi che il punto non è solo esistenziale, è ontologico. 

Non so se Claudia Ruggeri avesse letto Meister Eckhart, Schopenhauer o Schelling, ma di sicuro a questioni di natura filosofico-teologica ci pensava, e anche tanto: fa riferimento a Giona nell'esergo alla poesia il Matto II (morte in allegoria) / Ninive, e l'intera sezione in cui si colloca il componimenti è ricca di riferimenti al Cantico dei Cantici, oltre che all'opera Dantesca, influenza più lampante nel libro. Alcuni potrebbero dire che Ruggeri si sia servita dell'immaginario religioso per trattare questioni ontologiche, con l'implicito assunto per cui la teologia non è una materia da prendere sul serio; credo però che svolgere una simile operazione sarebbe quantomeno forzoso, oltre che inutile- si può pensare a Dio come la sostanza ultima di tutte le cose, ma in questa nota mi riferirò ad esso con la parola Dio, per comodità e coerenza con i termini con cui Claudia Ruggeri ha scelto di esprimersi. Oltre che di teologia scolastica qui si parla di storia delle religioni, in quanto l'autrice chiama in causa un vasto numero di tradizioni esoteriche che si discostano da quella cattolica, come la simbologia dei tarocchi. La sua riflessione, se considerata in una prospettiva religiosa, è tutt’altro che convenzionale: è più vicina a quella delle mistiche vissute prima della Controriforma, a quella degli eretici del ‘600 o, per restare nel ventesimo secolo, di Simone Weil, pensatrice che in un certo senso cardinalmente opposta a Ruggeri, in quanto fece dell'obbedienza a Dio uno degli argomenti fondamentali del suo pensiero. Per Claudia Ruggeri invece scrivere è disobbedire: il paradiso è oblio, Dio non esiste allo stesso modo in cui possiamo pensare che esista un tavolo o esista una sedia, e se esiste è un dio demente, nel senso letterale del termine. Sylvia Plath ha scritto nei suoi diari: "parlo con Dio, ma il cielo è vuoto". Ruggeri fa lo stesso, e il suo parlare è allontanarsi da Dio, dal vuoto, un gesto che per gli esseri umani non può che risultare in terribili sofferenze, e avere come conseguenza ultima l'inferno, che sia anche "inferno minore", quello esperibile in vita e Ruggeri esplora con la sua poesia. 

Nella sezione conclusiva si susseguono una serie di lamenti di personaggi che popolano l’Inferno minore. Solo all’attore non è dato lamentarsi, benché soffra (qui facco riferimento al testo: la pena dell'Attore) e preghi (preghiera dell'Attore). Questa figura esercita una funzione simile a quella del matto a livello narrativo, nel senso in cui fornisce al lettore indizi interpretativi indispensabili a comprendere la raccolta nella sua interezza, pur rappresentando fattualmente il suo opposto: si trova all'inferno perché, nel suo tentativo di fuggire il nulla, interpreta un personaggio occupando un palcoscenico che altrimenti sarebbe vuoto. Imperdonabile è infatti anche l'impostura, come emerge anche dai numerosi riferimenti al Carnevale: "travestendosi" l'attore agisce contro il volere divino e, avendo quindi commesso un atto contro natura, merita di essere all'inferno.L'attore ha quindi un ruolo risolutivo in Inferno minore, in quanto proprio quest'ultima sezione potrebbe essere definita un esercizio di impostura: l'autrice, infatti, interpreta e da voce a vari personaggi, si trasfigura in altro, in qualsiasi cosa sia qualcosa, e non oblio, a costo di agire contro Dio stesso. Nel componimento che conclude la raccolta, infatti, Claudia Ruggeri chiede di essere lasciata "a questa strana circostanza", perché "a questo inferno minore" tutto è minore, anche i turbamenti che provengono dal mondo esterno, a cui il lettore sarà costretto a tornare. La poesia di Ruggeri esiste in bilico, o "in limine" (titolo della prima poesia dell'ultima sezione e chiaro riferimento a Montale), ed esiste per difenderci dal vuoto- può sembrare un esercizio di stile "barocco", quando in realtà i temi trattati riguardano il significato ultimo dell'esistenza e non solo- Claudia Ruggeri ce lo dice subito, con la citazione da Moby Dick che apre il libro. Che il bianco possa essere anche quello della pagina, che chi scrive non può fare a meno di riempire, anche a costo di mentire, come direbbe Platone? Forse, quello che è certo è che questo libro pretende di esistere, di essere qualcosa piuttosto che niente, e va custodito.