«Che cosa accade in letteratura quando si vuole dire qualcosa che non si può dire? Occorre essere talmente bravi, talmente artisti da permettere a chi lo voglia e possa di comprendere l'effettiva portata del messaggio, ma donando anche a chi non vuole, o non può, cogliere "ciò che sta sotto", mera arte e illusione».
Fino a poco tempo fa non erano in molti a potersi permettere di essere apertamente omosessuali senza venire ostracizzati, o addirittura perseguiti legalmente- anche oggi a dirla tutta la situazione rimane complessa, anche per chi crede di vivere in quello che viene considerato, in modo semplicistico, un "paese civile" (cosa poi si intenda con civile non è chiaro, perché civiltà e giustizia non sono sinonimi). L'Italia infatti resta in fondo alla classifica per quanto riguarda la tutela dei diritti delle persone omosessuali nell'Unione europea, secondo i dati raccolti da Ilga Europe, e anche se ora si può parlare, più o meno apertamente, di diritti omosessuali, è più importante che mai farlo.
Ma questo cosa c'entra con la poesia? La risposta è semplice, o è con semplicità che ci viene spiegata da Buffoni in questi termini:
«Una società si definisce attraverso ciò che esclude. Ma anche il più repressivo dei contesti sociali, anche quello più corazzato e apparentemente più impermeabile, se continuamente bersagliato da testi intelligentemente "mascherati" finisce con l'assorbirne le istanze. È solo una questione di tempi e di modi. Come afferma Martha Nussbaum in Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile (1995, trad. it. 1996), la letteratura esercita un ruolo fondamentale nella realizzazione della giustizia».
Attraverso diversi esempi, classici e contemporanei (dal celebre ritratto di Dorian Gray alle poesie che Elizabeth Bishop dedica a Lota De Macedo Soares, passando per lo scambio epistolare tra Leopardi e Ranieri), Buffoni ci dimostra come la letteratura è ed è sempre stata uno spazio di rivendicazione, essendo spesso stata scelta come mezzo d'elezione per esprimersi da persone appartenenti a quelli che oggi verrebbero chiamati "gruppi marginalizzati".
Poiché quello che non poteva essere detto a gran voce veniva raccontato in una poesia oppure in un romanzo, la letteratura ha in sé, fin dai suoi albori, la pretesa di chiedere e fare giustizia.
La narrazione letteraria, infatti, non può fare a meno di confrontarsi con quella giuridica. Da questa premessa muove la riflessione di Buffoni, che si serve di numerosi esempi di storia della letteratura e di filosofia del diritto per dimostrare la sua tesi.
«Il poeta, dai tempi di Omero ad oggi, narra, racconta. E che cosa è un processo se non un con- testo dialettico, quindi un lungo racconto? Tanto è vero che si parla di “dialettica” processuale e di “narrazioni” processuali».
Ecco perché credo che questo sia un libro veramente importante, non solo nella produzione di Franco Buffoni, ma per chi si chiede se abbia davvero senso scrivere e leggere poesia in un mondo profondamente ingiusto.
Simone Weil, una pensatrice di origini ebree convertitasi al cristianesimo, spesso strumentalizzata da coloro che amano chiamare in causa la propria idea di religione cattolica per opprimere chi già gode di ben poche tutele agli occhi della legge, scriveva ne La persona e il sacro:
«Dalla prima infanzia sino alla tomba qualcosa in fondo al cuore di ogni essere umano, nonostante tutta l'esperienza dei crimini compiuti, sofferti e osservati, si aspetta invincibilmente che gli venga fatto del bene e non del male. E questo, anzitutto, che è sacro in ogni essere umano [...] Ogni qualvolta sorge dal fondo di un cuore umano il lamento infantile che il Cristo stesso non ha potuto trattenere: «Perché mi viene fatto del male?», vi è certamente ingiustizia. Perché se si tratta soltanto dell'effetto di un errore, come sovente accade, l'ingiustizia risiede allora nell'insufficienza della spiegazione».
-La persona e il sacro, Simone Weil, Adelphi
La poesia, la letteratura rispondono a quest'esigenza di spiegazione. E così fa questo libro. Una lettura fondamentale in un momento in cui nel mondo della poesia ci si indigna perché un giovane poeta ha "osato" prendere posizione -esprimendosi, per altro, in modo coinciso e intelligente- sulla questione del femminicidio, notando come in primis gli uomini dovrebbero interrogarsi in merito alla questione; in un momento in cui il tema della possibile bisessualità di Antonia Pozzi non può essere discusso senza che qualcuno ti salti alla gola parlando di revisionismo; in cui sui libri di scuola viene ancora scritto che Leopardi era innamorato di una certa Salivi (Silvia); in cui c'è ancora chi usa la propria fama di letterato per istigare all'odio verso le famiglie e gli individui queer, dando adito a teorie cospirazionistiche e ignorando il fatto che, al momento, l'Italia è governata da un partito di destra pro vita che tra i suoi valori conta la tutela della "famiglia tradizionale".
Aggiungo solo che questo libro è da non perdere anche per chi non fa della poesia il suo principale interesse, per il modo in cui l'argomento della giustizia viene trattato, ovvero in una chiave inclusiva, intersezionale (sia in accezione disciplinare che politica) e accessibile a tutti, anche a quelli o a quelle che si chiedono se la letteratura serva ancora a qualcosa.