L'immobile fantasia

Itinerario sul volo nell'opera di Bartolo Cattafi
25 Maggio 2023

Non spiegherò chi è Bartolo Cattafi (c’è già un sito ufficiale per queste cose: https://www.bartolocattafi.it o altri articoli), dico giusto che è nato nel 1922 e morto nel 1979. Preferisco individuare un itinerario arbitrario ma soddisfacente lungo tutta la sua produzione, seguendo alcune poesie che hanno a che fare con il volo. Per soddisfacente intendo questo: capace di fare abbastanza per chi lo sta leggendo, cercando di essere all'altezza di chi si è approcciato al testo. Che non prenda insomma alla leggera il tempo di qualcuno che iniziando quella data lettura ha già espresso un’esigenza che va rispettata. Qui ripropongo la mia esperienza di lettore che non è stato deluso e che condivide le ragioni e le poesie dietro alla soddisfazione verso un iter poetico, nello specifico quello di Cattafi. Inserisco di proposito la stessa poesia due volte.
Cominciamo con una poesia dal suo esordio su Mondadori, Le mosche del meriggio, 1957. Prima di leggere il testo in questione, notiamo che già il titolo della raccolta mette a tema il volo attraverso la mosca, che, collocata nel contesto del meriggio, ci dà già l’idea di un moto confuso e fastidioso in mezzo al nulla. Sapendo che questo è il libro in cui confluiscono i viaggi di Cattafi per l’Europa (basti guardare alla sezione Meridiano di Greenwich), possiamo avvicinare con una riserva in meno il moto della mosca e quello fisico, mentale di Cattafi. La poesia si intitola Dal cuore della nave. L’antracite è un tipo di carbone che manda avanti (appunto) una nave.

 

Così è il sole divelto dallo zenit
corpo stanco in viaggio alla deriva
come la rosea memoria già lontana.
Puoi cogliere dal cuore della nave
alga e antracite, i fiori dell'abisso
gli occhi verdi del prato e del mare,
e qui in petto ho una macchia a sinistra
come di nafta che non lascia il golfo,
in più i simmetrici polmoni, ancora ansiosi e sudati,
quasi due gigli estivi.
Il nostro sangue nel gracile topo
come vibra impazzito, come un intimo uccello
un pensiero irreale
quando il cielo s'approssima e al battello
le campane s'inclinano nel freddo.

 

Porto all’attenzione alcune immagini: la macchia a sinistra nel petto come un punto oscuro (non dimentichiamo che la poesia si chiama Dal cuore della nave: viene istituita una vicinanza tra il poeta e la nave con questo cuore oscuro), l’antracite, altro materiale oscuro, e poi un pensiero irreale che viene individuato attraverso il paragone con un intimo uccello che lo precede. Se seguiamo il filo del volo, vediamo che l’uccello, animale volante per definizione, associandosi al pensiero, gli fornisce questo suo movimento aereo che però è, a ben vedere, una forma di staticità. Il verso seguente quando il cielo s’approssima non descrive un movimento del volatile, ma del cielo, capovolgendo il rapporto che ci aspetteremmo tra i due: non si muove l’intimo uccello, ma lo spazio che ha intorno. Così anche il resto del verso e quello successivo: e al battello / le campane s’inclinano nel freddo. Di nuovo, non è il battello-poeta (questa associazione ce la conferma l’immagine della macchia a sinistra come un cuore dall’inizio della poesia, così come la rima battello - uccello) a muoversi, ma le sue campane. Del resto, già il secondo verso, che parla del sole come corpo stanco in viaggio alla deriva, aveva fissato un’atmosfera di viaggio e passività: non dimentichiamo che anche il sole si sposta nel cielo, e che questa deriva diventa poi propria della rosea memoria già lontana, che anticipa il pensiero irreale in volo fisso. Così restiamo con una sensazione di immobilità, a dispetto di quanto il titolo della poesia e il contesto di viaggio avrebbero potuto suggerirci. Rileggiamo la poesia:

 

Così è il sole divelto dallo zenit
corpo stanco in viaggio alla deriva
come la rosea memoria già lontana.
Puoi cogliere dal cuore della nave
alga e antracite, i fiori dell'abisso
gli occhi verdi del prato e del mare,
e qui in petto ho una macchia a sinistra
come di nafta che non lascia il golfo,
in più i simmetrici polmoni, ancora ansiosi e sudati,
quasi due gigli estivi.
Il nostro sangue nel gracile topo
come vibra impazzito, come un intimo uccello
un pensiero irreale
quando il cielo s'approssima e al battello
le campane s'inclinano nel freddo.

 

Passiamo al secondo testo, Trofei: questo viene dalla successiva raccolta di Cattafi L’osso, l’anima, 1964:

 

Qui sospinto,
secco, con pelle
crepata, che non cela
ossa candide e lisce,
relitto d'altomare, nella sabbia
e nel mare occhio che vide
e tace,
asciutta, astrusa
l'insondabile cornea, conviene
impagliarti accanto al falco,
alla farfalla, al fiore.
Arredare pareti, esporre prede.
La mente non soccorre, se di giorno, di notte,
in quale luogo - strada,
stanza, specchio di mare, fitto di foresta -,
ignari di nozioni necessarie
di proietti e pericoli che passano nell'aria.
Tornammo in piedi, fingendo
indifferenza proseguimmo.
Talvolta l'occhio ha durezza di smalto
incantato in lucenti fissità,
l'orecchio ascolta voci e passi:
su invisibili scale va in alto.

 

Ancora una volta, facciamo una selezione di immagini: relitto d’altomare, considerando anche la posizione quasi ad apertura di libro della poesia (Trofei è tra le prime della raccolta) istituisce un collegamento col testo letto prima: è un proseguimento ideale, la nave è diventata un relitto. L’occhio viene associato a parole secche e legate alla pietra (asciutta, ha durezza di smalto, fissità), e riapre il problema dell’immobilità, mentre falco, farfalla aprono la scena al volatile (falco come uccello molto legato all’occhio), la cui staticità viene dichiarata esplicitamente. Cattafi ha già collocato il lettore come un animale impagliato e passivo di fianco ai volanti bloccati: conviene / impagliarti accanto al falco, / alla farfalla, al fiore. / Arredare pareti, esporre prede. È come se, ritrovandoci di fronte al relitto della nave dalla scorsa raccolta, stessimo assistendo alla realizzazione del fallimento del precedente progetto di viaggio, scoperta e avventura. Si concretizza quell’accenno di impossibilità del volo, questa volta visto come necessario (conviene / impagliarti), e dalla mente non c’è soccorso, e anzi ci lascia ignari e impreparati (come del resto ci fa sentire il periodo ipotetico della seconda stanza, non concluso e disorientante Se di giorno, di notte). A fine poesia, con l’ascesa su invisibili scale, rimane il mistero della direzione e del percorso che, se possibile, lo è solo in una dimensione terrestre (Tornammo in piedi, fingendo / indifferenza proseguimmo.) 

 

Qui sospinto,
secco, con pelle
crepata, che non cela
ossa candide e lisce,
relitto d'altomare, nella sabbia
e nel mare occhio che vide
e tace,
asciutta, astrusa
l'insondabile cornea, conviene
impagliarti accanto al falco,
alla farfalla, al fiore.
Arredare pareti, esporre prede.
La mente non soccorre, se di giorno, di notte,
in quale luogo - strada,
stanza, specchio di mare, fitto di foresta -,
ignari di nozioni necessarie
di proietti e pericoli che passano nell'aria.
Tornammo in piedi, fingendo
indifferenza proseguimmo.
Talvolta l'occhio ha durezza di smalto
incantato in lucenti fissità,
l'orecchio ascolta voci e passi:
su invisibili scale va in alto.

 

Dopo L’osso, l’anima Cattafi attraversa un prolungato periodo di silenzio poetico, che arbitrariamente avvicino alla stasi esplorata nel corso dell’ultimo libro; seguirà una ripresa improvvisa con un gran numero di componimenti che confluiranno in diverse raccolte (L’aria secca del fuoco, 1972, La discesa al trono, 1975, Marzo e le sue idi, 1977) raggruppati per affinità tematiche. Da La discesa al trono arriva la seguente poesia, Uovo:

 

L'albume-alone
ha una sua fluttuante dimensione
il tuorlo oltre
al vitreoviscido strascico
ha due facce
quella del sole
il cerchio vuoto della luna
nel forte tanfo proteico
un punto nero pennuto pungente
un uccello di morte.

 

Non possiamo ignorare l’impianto alchemico di questa poesia: un punto nero collegato al sole e alla luna (cerchio vuoto molto femminile, da tradizione) in contesto di generazione e nascita come quello dell’uovo deve molto all’immaginario dell’Opera. Dovrebbe anche tornare alla mente l’elemento oscuro dell’antracite, assieme alla macchia sul cuore. L’idea di un punto essenziale e oscuro è ricorrente (e il libro si chiama La discesa al trono). Oltre a notare il ritmo retto dalle assonanze in oe (alone, dimensione, oltre, sole, forte, morte) si assiste al ritorno dell’immagine dell’uccello, introdotto dalla sequenza allitterante proteico, punto, pennuto, pungente che mi ricorda un picchiettare per rompere il guscio. Qui il volo non è ancora possibile, ma il contesto di immobilità associata al pennuto viene posto all’estremo opposto di trofei: fuori dalla vita, ma non dopo la conclusione di questa, bensì prima ancora del suo inizio, che coincide col lavoro per raggiungere la nigredo, il lavoro prima di aver iniziato il Lavoro.

 

L'albume-alone
ha una sua fluttuante dimensione
il tuorlo oltre
al vitreoviscido strascico
ha due facce
quella del sole
il cerchio vuoto della luna
nel forte tanfo proteico
un punto nero pennuto pungente
un uccello di morte.

 

Ci spostiamo adesso su Marzo e le sue idi, che presenta una sequenza memorabile di scene prese come da arazzi (andate a cercarvi Un levriero), statiche e cariche di senso. A queste segue una poesia di tutt’altro respiro, Fantasia, che riporto qui:

 

Tutto si è già formato
superfici si sono incontrate
tese piegate arrotolate
in tutta la sfera del possibile
fantasia è estrarre dal contesto
la figura più piatta
aspettare che pian piano alzi la cresta.

 

Sebbene qui non compaia esplicitamente un alato (a cercarlo lo si trova, perché è il gallo ad alzare la cresta, ma se si sa cosa cercare salta sempre fuori tutto), i temi del movimento e della fissità a cui lo abbiamo visto essere strettamente legato vengono sviluppati. Partiamo da uno stacco tra le deformazioni (tese piegate arrotolate) a cui sono soggette le superfici e l’imperturbabilità della sfera del possibile, per poi l’ingresso repentino della fantasia, non anticipata dalla punteggiatura, come nuovo soggetto. Oggetto della fantasia diventa questa figura piatta, e allora si può solo aspettare che pian piano alzi la cresta. In questo componimento assistiamo a un ribaltamento della condizione dell’immobilità che diventa piuttosto l’attesa di un cambiamento di stato che ha una direzione decisamente orientata verso l’alto (alzi la cresta). La fantasia si inserisce allora tra il corpo che si sposta e la mente che osserva, e mostra, invece, qualcosa che potrebbe esserci, e che, dopo tanta discesa, potrebbe salire.

 

Tutto si è già formato
superfici si sono incontrate
tese piegate arrotolate
in tutta la sfera del possibile
fantasia è estrarre dal contesto
la figura più piatta
aspettare che pian piano alzi la cresta.

 

Questa attesa trova compimento nel libro successivo, L’allodola ottobrina, 1979, dove, come si evince dal titolo, il volo ricopre un ruolo abbastanza prominente. Leggiamo due poesie, tra cui quella eponima, e Dismisura, che ruotano attorno alla figura dell’uccello:

 

S'alzò in volo e cantò invece
l'allodola ottobrina
prima che giungesse concentrato
il piombo dodici undici dieci.

 

 

Aspetto lo scatto in più
di pura energia
la dismisura
la cosa che sgorga esorbitando
con dolcissima calma
con rabbia
la quaglia che salta in alto e sbatte
la testa e insanguina la gabbia.

 

La centralità dell’azione di un volatile (allodola, quaglia) che compie uno scatto verso l’alto da cui esce ferito, o morto, lega le due poesie. Considerando la caccia per la prima poesia, e la forza del verbo insaguina (a cui si arriva dopo due versi in cui l’accento in seconda sede precede una semivocale, con rabbia, e poi si ritrova tra altre due, la quaglia, potenziando il suono di insanguina) nella seconda, a dominare nelle sezioni finali di entrambe è il sangue, o comunque un'atmosfera rossa. Chi vuole lo potrà ricondurre al precedente discorso sull’uovo. Sempre a caratterizzare le due poesie è il valore oppositivo di questo scatto verticale, dall’invece dell’allodola alla dismisura che grava sul salto della quaglia (mi sa che in questo caso il detto c’entra ancora meno). Da notare come in Dismisura il primo verso inizi con Aspetto; questo suggerisce non solo che questo salto sia simile all’alzare la cresta di Fantasia (sono uniti dalla situazionsituazione di attesa) ma anche che valga lo stesso per l’alzarsi in volo dell’allodola che dà il nome all’intera raccolta.

 

S'alzò in volo e cantò invece
l'allodola ottobrina
prima che giungesse concentrato
il piombo dodici undici dieci.

 

 

Aspetto lo scatto in più
di pura energia
la dismisura
la cosa che sgorga esorbitando
con dolcissima calma
con rabbia
la quaglia che salta in alto e sbatte
la testa e insanguina la gabbia.

 

Troviamo qui la realizzazione, allora, di quel volo tentato già in Dal cuore della nave, con l’intimo uccello immobile: inoltre, in quella stessa raccolta, Le mosche del meriggio, si può leggere una poesia che è essenzialmente L’allodola ottobrina, ma in una versione più datata e meno d’impatto:

 

Stravolto uccello 
in un lampo il sole 
riporta abbacinato 
al limite celeste; 
e quivi muore.

 

Quindi: L’allodola ottobrina, col suo breve volo seguito dalla morte, era già presente nel primo libro di Cattafi, in una versione un filo meno violenta. Il salto della fantasia che cerca di liberarsi dall’immobilità di corpo e mente alzandosi in un volo incompatibile con la lunga durata ma che si relaziona col limite celeste si configura come tema ricorrente, ci dice anche qualcosa di più sulla fissità iniziale.

 

Stravolto uccello 
in un lampo il sole 
riporta abbacinato 
al limite celeste; 
e quivi muore.

 

Così possiamo leggere l’ultima poesia di questo itinerario, Puzzle, tratta da Chiromanzia d’inverno, 1983:

 

Venti cinquanta cento
mosche ronzanti in aria
s'accostano si scostano da un centro
immaginario
pezzi d'un puzzle sempre in movimento
se s'unissero invece l'una all'altra
saldate nel senso d'un disegno
di colpo zittitosi il ronzio
anche codesta cosa
avremmo caduta in terra
chiara piatta concreta
l'aerea segreta fantasia.

 

Qui le mosche che avevano dato il titolo al libro d’esordio occupano una posizione prominente (con capatine anche nelle altre raccolte), in quanto presenti nell’ultimo libro voluto da Cattafi. Non puoi mettere la parola “mosche” nel titolo del tuo esordio e poi usarla senza averci pensato. Un’ultima volta raccogliamo alcune immagini: il centro attorno a cui vorticano le mosche, che ci rimanda a quel punto oscuro e generativo che, nell’opera di Cattafi, va dall’Antracite alla Grafite; la fantasia piatta qualora si dovesse ricomporre un disegno in cui tutte le mosche (leggiamo: piccoli animali volanti) venissero saldate. Notiamo anche come la prima metà della poesia sia retta da un’assonanza alternata a fine verso in eo: cento, centro, movimento, disegno, mentre nella seconda parte, col zittirsi del ronzio (che nel testo si faceva sentire nell’assonanza), si introduce una nuova assonanza, baciata: terra, concreta, assieme a un altro forte richiamo col doppio iato in i (che siamo costretti a pronunciare con intensità): ronzio, fantasia. Il volo della fantasia, scomposto e doloroso, è auspicabile, oppure se è da preferirsi averla caduta in terra? La vogliamo piatta concreta e conoscibile, o aerea segreta e inconoscibile? 

 

Venti cinquanta cento
mosche ronzanti in aria
s'accostano si scostano da un centro
immaginario
pezzi d'un puzzle sempre in movimento
se s'unissero invece l'una all'altra
saldate nel senso d'un disegno
di colpo zittitosi il ronzio
anche codesta cosa
avremmo caduta in terra
chiara piatta concreta
l'aerea segreta fantasia.

 

Rimarco ancora una volta l’arbitrarietà di questo itinerario sul volo nell’opera di Bartolo Cattafi, in cui ho accostato poesie seguendo solo affinità tematiche, e ho scelto di mostrare sviluppi dove forse non andavano letti; ma credo che il percorso emerso e la tensione tra un volo disorientante e creativo che non si riesce a capire e la necessità di un arresto imposto per immobilizzarli, questi volanti, e avere finalmente qualcosa di preciso che si lascia esaminare, ma che ha perso in questo modo proprio quell’elemento per cui era valsa in primo luogo la fatica di cercare di conoscerlo, siano una buona giustificazione anche solo per parlarne.