Un simbolo come la maschera, che nasconde molte cose ma che ne rivela altrettante (soppiantando, sostituendo a un'apparenza vecchia un'apparenza nuova, a un significato un altro), ha sempre trovato grande spazio nella tradizione poetica, tra ricontestualizzazioni e appropriazioni. Qui una selezione di alcune poesie che, a salti di un secolo l'una dall'altra, hanno detto la loro sulla maschera: ladri cammuffati e carnevali del 1500, innamorati che simulano e dissimulano in scenari pieni di maschere barocche e ammiccanti, una favola allegorica tipica del gusto settecentesco, le visioni di un poeta scapigliato che estende la maschera a Dio stesso e una poesia ammaliante e carica di non detti di un autore di secondo novecento.
Mattio Franzesi (sec. XVI)
DAL "CAPITOLO DELLE MASCHERE"
Ma che direte voi, ch’ogni diserto
arcipoltron diventa Rodomonte,
com’egli è dalla maschera coperto?
Che doppiamente può mostrar la fronte;
ma alle maschere s’usa aver rispetto,
e rado è chi le noje, o chi l’affronte.
Può uno ammascherato entrar pel tetto,
per le finestre, in casa a ogni persona,
che l’uscire, e l’entrar non gli è disdetto.
E se bene e’ disembricia, e smattona
li tetti, e’ muri, e butta fuor bagaglie,
ognuno se ne ride e gli perdona.
Non vi crediate, che qualunque saglie
havesse da sua posta tanto ardire,
che inerpicasse su per le muraglie.
Che la maschera sol lo fa salire,
come fa anche correr le chintane,
e romper lance grosse da stupire.
La materia mi cresce tra le mane,
ed io ho’l capo, e i piedi all’ambulare;
ma il resto vi diranno le Befane.
Allor potrete e vedere, e provare
s’egli è ver quel ch’o detto, e sopra tutto
quando voi vi volete ammascherare,
sia il viso bello, e il resto non sia brutto.
Torquato Accetto
DALLE "RIME" (1626)
Mentre Venere e Bacco in finti aspetti
errano intorno tra vezzosi amanti,
che ricoprendo i timidi sembianti
spiegano i cori agli amorosi oggetti,
altri che sembran puri e semplicetti,
e ‘l piacer voglion dentro e fuori i vanti,
veggo mostrar i volti umili e santi
e velar l’alme di mentiti affetti.
O d’umano pensier legge non degna,
seguir del vizio le fallaci scorte
e sol de la virtù portar l’insegna.
Donne, voi siate ne’ perigli accorte:
ma chi, lasso, v’addita, e chi v’insegna
com’è ch’altri del cor le larve porte?
Gian Carlo Passeroni
DALLE "FAVOLE ESOPIANE" (1779-1788)
La Volpe e la Maschera
Una Maschera da scena
con sembiante vago adorno,
quale è quel d’una Sirena,
rimirò la Volpe un giorno.
E veduta l’ebbe appena,
disse a que’ ch’avea d’intorno:
quella testa è vaga, e amena,
pur la stimo men d’un corno.
E dirovvi anche il perché
se d’intenderlo vi cale:
perché in lei cervel non è.
Giovinetto senza sale,
questa botta viene a te:
sei dipinto al naturale.
Che ti vale
l’esser vago, l’esser bello,
se sei privo di cervello?
Questo è quello
che distingue a mio parere
l’uom dall’uomo, e dalle fiere.
Sulle sfere
chi con esso pesca a fondo,
fa salir lieto, e giocondo.
Questo al mondo
caro il rende, e non il viso
d’Assalonne, o di Narciso.
Emilio Praga
DA "TAVOLOZZA" (1862)
Tutti in maschera
Uom, tu che nasci in maschera,
e mascherato muori,
osi insultar, se incognito
è anch'esso il Dio, che adori?
Vorresti tu conoscerlo
ed affisarlo ignudo,
come una compra femmina,
o il conio di uno scudo?
Ma tu, da culla a feretro
lasci un sol dì il mantello?
Ardisci mostrar l'indole
del cuore e del cervello?
Dio che a ragione, o tanghero,
di te più furbo è assai,
t'acqueta, la sua maschera
non lascerà giammai.
E tu in ginocchio pregalo
che ci lasci la nostra,
perché sarebbe orribile
l'anima messa in mostra!
Giorgio Caproni
DA "CRONISTORIA" (1943)
Il mare brucia le maschere,
le incendia il fuoco del sale.
Uomini pieni di maschere
avvampano sul litorale.
Tu sola potrai resistere
nel rogo del Carnevale.
Tu sola che senza maschere
nascondi l’arte d’esistere.