Poesie da cani

Il setter di Giovanni Giudici e i cani della poesia secentesca
15 Gennaio 2024

 

Questa non è una selezione dei cani più famosi della poesia: se così fosse, dovremmo includere Argo, i cani di Atteone, il bassotto di Montale, l'ode al cane di Neruda, la lotta fra cane e cinghiale di Riccardi (per guardare a un tempo più prossimo al nostro) e non la finiremmo più. Invece, quello che ho fatto è stato prendere dal cuore di La vita in versi di Giudici una sezione che parte come una corrispondenza innocua e finisce per sfociare in una visione inquietante dove destino di cane e destino di umano si sovrappongono e riflettono, e sovrapporre a sua volta questa sequenza a una serie di sonetti secenteschi. Di area marinista? Non me la sentirei più di tanto di impiegare questa categoria, dal momento che la serie include due acerrimi rivali del Marino, Tommaso Stigliani, autore di Dello occhiale opera difensiua del caualier fr. Tomaso Stigliani. Scritta in risposta al caualier Gio. Battista Marini. Dedicato all'eccellentiss. sig. conte D'Oliuares, molto critico nei confronti del Cavaliere ma che suo malgrado si è rivelato una fonte decisiva nello studio della ricezione dell'Adone e uno dei commenti più dettagliati di questo poema (basta aprire a caso l'edizione Bur per incappare in una sua citazione tra le note), e Gaspare Murtola, artefice del fallimentare tentato omicidio di Marino. Il tratto in comune di queste scritture (Giudici incluso) ha sicuramente a che vedere con l'occasione mondana (fittizia o meno) che sta dietro a ciascuna di queste, dall'acquisto di un cane poco adatto alla vita da appartamento alla morte acidentale di un altro; ma il vero nesso sta nella sovrapposizione scandalosa tra canino e umano. Tutti gli autori scrivono come se sapessero che c'è qualcosa di vagamente perverso nella materia trattata: un cane riceve più baci di un amante, o più lacrime; un cane è guerriero, ma senza armi; un cane diventa proiezione delle deludenti prospettive verso il futuro di un impiegato che se lo ritrova in casa; sempre in una posizione in un certo modo desiderata dall'autore, che sia la vicinanza all'amata per Gaudiosi, Stigliani e Giovanetti, una onorevole e rispettosa vita in campagna per Giudici, o, bizzarria accidentale ma brillante, un canicidio riuscito per l'omicidio fallito di Murtola.

 

 

Tommaso Stigliani (1573-1651)
DAL "CANZONIERE", 1625
Cagnolino accarezzato.

 

Quella candida man, che sempre scocca
nel misero mio cor faci e quadrella,
or un vil can, ch'ebbe più amica stella,
teneramente lusingando tocca.

 

E quella amorosetta e dolce bocca,
ov'ha per me 'l silenzio eterna cella,
a lui non ride pur, non pur favella,
ma in lui di baci una tempesta fiocca.

 

Deh, perché questi agli amator dovuti
soavissimi vezzi, or da te sono
concessi, ingrata donna, ai rozzi bruti?

 

Tu sai che chi Zerbin donotti, io sono:
or perché a lui tu baci i membri irsuti?
Si premia il donatore e non il dono.

 

 

 

 

Giovanni Giudici (1924-2011)
DA "LA VITA IN VERSI", 1965
Quindici stanze per un setter

 

I

 

«A Milano un setter non può vivere.
Com'è possibile farlo passeggiare
nel traffico, respirare
nelle puzze del neo-capitale? E poi (altro
che passeggiare!) ha bisogno di correre,
di affinare l'olfatto ai naturali
odori della campagna.
In quattro vani, con la sua esuberanza,
il cane soffre, forse ti morirà:
un girasole non cresce in una stanza».

 

Mio caro amico, volevo rispondere, tu
con la tua lettera a un giuoco di rimorsi
mi tenti: ma sei mesi son passati
e il mio cane sta bene, ha nome Scoop
(che in inglese vuol dire una grossa notizia),
non sporca in casa, è vivace, lo guardano
per strada quasi fosse una ragazza,
muove troppo la coda, ma ha l'altero
(quello sì) incedere della sua razza.
Non si lamenterebbe se potesse parlare.

 

Quali notizie aggiungere? Egli ha
le sue bizzarre abitudini: salta,
ad esempio, se un bisogno l'assilla,
abbandona alle quattro del mattino
l'apposita branda per cani in cui dorme,
s'infila sotto il mio letto, ne sento l'odore
attraverso la lana del cuscino,
mangia mele di buona qualità,
mi presta un'illusione di agiatezza,
ruba talvolta, piange quando è solo.

 

Questo di lui posso dirti, non più:
le sue segrete istanze io non conosco.
Che è bello l'affermano in molti, ma non posso
giurare sulla sua nobiltà.
Gli mancano le carte: è un setter grosso modo,
forse per la metà o tre quarti soltanto.
Sembra (un veterinario l'assicura)
che la madre o la nonna un'avventura
abbia corso col maschio d'un altro lignanggio:
e questo sarà uno svantaggio

 

quando dovrò accasarlo. Ho già fatto
qualche ricerca - se non trovo di meglio,
lo manderò a Cittiglio presso un tale
(mi è stato detto) padrone d'una femmina
setter, superba un tempo, ora disposta
a connubi di medio livello, data
l'età, la pigrizia del proprietario
che è stanco di officiare e convocare
testimone a ogni amplesso un fiduciario
araldico del Gotha canino.

 

 

 

 

Tommaso Gaudiosi (inizio XVII-fine XVII)
DA "L'ARPA POETICA", 1671
Per un cane bastonato da B.D.

 

 

Vigila un cane ai cardini di morte,
del crudo Inferno a custodir l'entrata:
un altro là della Città stellata
alberga ancor la luminosa corte:

 

un ne vidd'io, dentro sacrate porte,
avvicinarsi alla mia donna amata;
ma sotto i colpi della destra irata
mormora ancor di sua malvagia sorte.

 

Donna, se vanti, in quel leggiadro viso,
beltà celeste; ivi nel ciel superno
guarda un lucido cane il Paradiso;

 

ma se stanza sei pur di sdegno eterno,
scacciar questo non dei, sendoti avviso
ch'ancor fiero mastin guarda l'Inferno.

 

 

 

 

II

 

Nel prossimo mese di luglio ai bagni
di mare lo manderò e in agosto in campagna.
Io starò solo in città, senza famiglia:
lui smaltirà nel nuoto e nella corsa
il muscolo abbondante, sublimerà
gli istinti. Poi nel mese di settembre
progetto di affidarlo a un cacciatore
(tramite amici) lodigiano che
potrà insegnarli l'arte.
Propizio al matrimonio sarà dicembre.

 

Ecco, questi sono i miei piani. Spero
di attuarli con ordine: l'inverno
sarà urbano, al riparo dal freddo,
lontano dall'umidità. Nessuno
può chiedere alla vita un trattamento
uguale e la condizione dell'ozio
senza noia, accettabile: le bestie,
non toccate da macchia originale,
riconoscono in essa (almeno stando
a Tolstoj) uno stato ideale.

 

«Ma il cane soffre - mi dicono in molti
- è una follia tenerlo in casa. Fosse
un pechinese, un barboncino, anche
un bassotto, un sia pure indiavolato
fox-terrier, potrebbe stare in casa:
ma un setter, egregio dottore, mai più,
non sta bene nemmeno in una villa,
vuole distese di prati e la caccia,
la caccia soprattutto, selvaggina
di penna, quaglie, fagiani, beccacce.

 

Non è facile venderlo, s'informi
piuttosto, metta un'inserzione, chieda
di persone disposte nei dintorni
ad accoglierlo in una fattoria;
meglio, in una riserva: lo ceda».
Altri m'invita a meditare 
sui Novissimi: «Pensi a che sarà
nel giro di pochi anni il suo cane, ombra
domestica tra grige mura, vecchione
che s'aggira in attesa della morte».

 

 

 

 

Gaspare Murtola (1570-1625)
DALLE "RIME", 1604
Pinò Canicida Overo il Cane del Serenissimo Duca di Savoia, che per gelosia amazò un altro Cane compagno

 

Come senza far piaga aspra, e mortale
l'emolo tuo ferir Pinò sapesti,
come de denti tuoi senza lo strale
canicida crudel torre il potesti?

 

E pur da te venne lo stral fatale,
tu lo feristi pur, tu l'ancidesti
tu, che geloso haver niuno altre eguale
cane d'appresso al tuo signor volesti.

 

Ah ben m'avveggio, che a le chiare prove
come il folgore ancidi, e come i lampi
l'anime assorbi, e sei tu il Can di Giove

 

tuon fu il latrato tuo, e possente
foco fu l'occhio, onde di sdegno avampi
tu, tu saettator, saetta il dente.

 

 

 

 

III

 

Adesso è giovane, ha otto mesi, io
ho il futile timore dei quaranta
anni: ma penso che effettivamente
tra dieci il setter ne avrà dieci e otto
mesi - e io il terrore dei cinquanta.
Come potrò sopportarlo, odioso
amoroso relitto accanto a me,
così diverso da ora, prefigurarmi
nella sua fine imminente la mia?
Del suo specchio di morte disfarmi

 

ora che sono in tempo è meglio forse
che vederlo infiacchire, arruffato
nel pelo, l'occhio non più vivo, grace
(così diverso da ora) a spiccare
salti per farmi festa? Penso 
di sì, penso di sì. Chi voglia prenderlo
cerco, almeno a parole:
per un giorno, per due, rimpiangerò
questo sentire al mattino il ticchettio
delle sue unghie sul pavimento,

 

questo con ira respingerlo quando
mi aggredisce alla porta di casa,
questo subirne l'allegria. Sì, io
posso decidere ora del suo destino:
farne, se mai qualcuno risponderà
al mio appello, un felice possidente
di campagna (sia detto
possidente,
non
contadino), un cane ossequiato
come dev'essere un cane di signori,
accarezzato dai vicini, lodato

 

dai soci negli affari, ricercato
per grandi partite di caccia, difeso
dall'eventuale villano che vedrà
devastato da lui il suo orto:
invidiabile anche come cane.
O potrei darlo a un asciutto contorto
mediatore di mezza età, che lo conduca
di mercato in mercato, peregrinando
tutta la vita, fermandosi a osterie
dall'impiantito di mattoni, lasciandolo

 

per lunghe sere d'inverno steso al fuoco,
parlandogli sottovoce in dialetto (così
ho sentito a Fornovo uno parlare
al suo cane - ed era appunto un setter).
Posso decidere io del suo destino:
e vorrei per il meglio - e dunque non a Milano,
dove me l'ha già chiesto un cacciatore
domenicale, offrendomi denaro.
«In tal caso - ho risposto - se lei va
a caccia solamente la domenica,

 

tanto vale che il cane stia con me:
se in casa soffre, sia così per sempre.
Meglio sempre soffrire che godere
quella settimanale felicità».
Posso decidere io del suo destino:
ho sei mesi di tempo, forse un anno.
Poi sarà quello che diventerà
anche il mio cane: un tetro cittadino,
un vecchio mantenuto, un vagabondo
avventuroso? Amico, ti terrò informato.

 

 

 

 

Marcello Giovanetti (1598-1631)
DALLE "POESIE", 1626
Bella Donna piangeva la morte d'un cane casualmente ammazzato

 

Or che da forte man spinta percuote
fera palla il tuo Can, Donna t'adiri,
ma poichè tratto a cieca morte il miri,
bagni di belle lacrime le gote.

 

Pietà d'estinta fera or tanto puote
che tragge il pianto da tuoi bei zaffiri?
Se ciò fare non valsero i martiri
di cento al tuo bel volte alme divote.

 

Pur con pietade insidiosa, e fera
piange del Nil su gli arenosi lidi,
se pria diè morte altrui, l'Egittia fera.

 

Ma tu, con gli occhi eternamente infidi,
d'ogni serpe più rigida, e severa
piangi le belve, e i cori umani ancidi.