C’è una letteratura per quando sei disperato, non solo una letteratura, bensì un linguaggio che viene abitato da un certo tipo di lettore, che "non può leggere altro che letteratura disperata o per disperati"*. Credo che Nicola scriva per questa specie di lettore e sia quindi un poeta disperato (che non vuol dire una persona disperata, tutt'altro), che nelle sue poesie ci sia la disperazione della scintilla che "non esplode la scintilla e non esplode / non esplode la scintilla la / che ridere che ridere", di un'Aversa che "pare una barzelletta /sulla morte". Ridere fino a strapparsi le rughe dagli occhi, avere gli occhi verdi da non crederci e i piedi nel cemento fresco. Se con la sua poetica Nicola Barbato traccia una topografia lisergica ("le cicale sono senza sosta e a sinistra l'eroina") non sono i luoghi a essere abbandonati, ma noi che "non veniamo più da nessuna parte". È una poesia difficile da digerire, anche da pensare (il pensiero fa ci fa sentire assassini) ma non è questo a rendere disperata la poesia di Barbato, perché niente è più lontano dalla tristezza della disperazione. È una tenerezza grande, qualcuno che viene a salvarti la vita, un'amica che ne gira un'altra e scompare e ricompare, una vita che si spalanca tutta avanti. E ancora la tenerezza, una tecnologia della visione, la chiave di lettura per questa breve selezione di testi dove non c'è tregua, le porte sono aperte anche se non ti piacciono- e non solo le porte ma tutto, tutto "è aperto è aperto è tutto è tutto aperto / aperto per noi".
(Si consiglia la lettura delle poesie con il telefono in orizzontale)
*
Le cicale senza sosta e a sinistra l'eroina
se li mangia a quelli come lui
che morde la pesca e la divora e il succo
di mora gli servirà a qualcosa come
il succo di limone (in una bottiglietta
a forma di papera - cosa unisce limone
e papera a chi interpreta a chi vende)
e butta l’acqua sui fantasmi (un rituale chiaro a chi si droga
ma io marijuana poca roba ché digerisco male)
(i fantasmi sono idrofobi - lui lo sa, lui lo sa che
sono poca roba, un’indigestione
della presenza, una scorreggia silenziosa
che puzza e le ombre arbre magique
della sostanza) e ci sono cosce nude di donna
è stato un attimo è stato solo un attimo
e qui già fa caldo fa caldo e mancano
il tiro da tre ma puntano scartano attaccano
e infine ridono comunque ridono
e tu e qualche borghese piangi
comunque piangi una lettera del mio nome
e ne piangi due di chi? (il pensiero mi fa sentire
un assassino) e forse s’assomigliano nel modo
in cui le piangi (il pensiero mi fa sentire
un assassino) e qualcuno viene a salvarmi
la vita, un’amica ne gira un’altra
dov’è Naomi?
e solo la vita si spalanca:
ancora un po' di vita
tutta avanti e l’orizzonte
e l’infinito sono roba da bastardi
un'altra poesia a dirmi
ciò che non so dire. Le camminate.
Le lunghe camminate sotto al sole.
*
Le lunghe camminate sotto al sole.
Via ogni presupposto di decenza
tutto va già a fuoco in partenza
1 orizzontale: ilventicinqueluglioaversa
pare una barzelletta
sulla morte (come quando
Mattia dice che siamo drogati
ridendo fino a strapparsi le rughe
dagli occhi: «ehi amico
siamo belli come scheletri di cemento sopra
il mare») e hai gli occhi verdi da non crederci
e i piedi nel cemento fresco e rido e ridi
è surreale! è onirico, dici.
Ora sono un po' della tua luce e il treno
fa ridere stavolta che arrivederci e brilli
*
Rido ridi e tu brilli brilli
vedo. da te. scandisci: tu come
un portale per la meraviglia
ma anche meno molto meno
che non ti piacciono le porte
ma ora sono aperte
e qui ci sono i pazzi
«è un cannocchiale?
no, un cannone»
la tenerezza è un colore: una tecnologia
della visione ma sarà il caldo
è aperto è aperto è tutto è tutto aperto
aperto per noi ci sono i pazzi per noi
ci sono i pazzi, tu li senti, li conosci
ci pensi o sei pazza anche tu? Sei pazza? Una
lavatrice panni morti panni lavati due volte
la scintilla
e non esplode la scintilla e non esplode
non esplode la scintilla la
che ridere che ridere
come il cemento fresco
tu che ti scusi con i pazzi
che lavorano come i pazzi,
che ridere
una flebo a mò di cappio
che tu ti sognerai,
frequenze, tu le senti, le conosci
o sei pazza anche tu? sei pazza come i bambini.
I bambini che danno le caramelle alle guardie.
*
Roma è la città più fresca
d’Italia se fai vedere le cosce ai vecchi
che beati se schiattano con la tua immagine
negli occhi.
*
Dario al contrario è un'azione
terroristica. Dario è il nome di una banda
armata di ciù ciù a limone.
Dario è come potresti chiamare
un cane a pelo riccio che non sa
portare la palla indietro perché si confonde
con l'ombra di una coda.
Dario ha paura della luce.
Dario è l'università della strada. Dario è dire
Mattia con qualche differenza. Dario è il vuoto
che rende la riga verso. Dario è Dario anche
se non lo sa.
*
I cani ci vengono incontro. Ci abbaiano.
Ci sbarrano la strada. Siamo nei paesi della legna.
I cani sono amici, lo sappiamo, continuiamo
a camminare, sappiamo che dietro l'angolo
c'è quello che cerchiamo, un altro passo e ci sarà
l'acqua, qualcosa da mangiare, da vedere e
incastrarselo negli occhi mentre si fuma in più.
Convocare le stelle fa ridere, sono sopra di noi,
le indichiamo, possiamo prenderle e lanciarle
in faccia a qualcuno, lontano. Lo faccio.
Le mani di mio padre, scale di roccia, fichi d’india
pieni di spine, il mare tutto avanti, i gabbiani
che inciuciano. I cazzi da fuori, delle tette
sporche come può piacerti. Se non c'è spazio
le cose non possono uscire, respira, respira.
Ce ne sarà di tempo. Un tempo tutto azzurro
e uno scoiattolo bianco che zampetta e va di là.
*
Non veniamo più da nessuna parte.
Ci siamo frantumati nelle strade,
abbiamo sbagliato a parlare, i cani
hanno detto ad alta voce i nostri nomi
e una luce sulla testa ci denuncia
come la coda che ci spunta e ci sporge
al tutto che ci sfilaccia e ci rompe: abbiamo lingue
di fanghiglia, demoni sulle ciglia
e a mezzogiorno stendi i panni sporchi
puliti appena li tocchi.
Ho le mani perché hai il tuo corpo,
ho la lingua perché hai il tuo corpo:
siamo ciò che possiamo dare
fino in fondo: diamo ciò che siamo
fino in fondo: ci sparano alle gambe,
ci sparano al cuore. Fuggiamo veloce
che qua è proprietà privata amore: il mare
a settembre non appartiene più a nessuno. il mare
da settembre riposa quanto vuole.
Nicola Barbato (Aversa, 1996) è laureato in filologia moderna all’Università di Napoli Federico II. Attore e drammaturgo, fa parte della redazione di Inverso – Giornale di poesia e del collettivo Diverbio. È stato finalista nazionale del campionato di Poetry Slam (LIPS) per due anni consecutivi (2023-2024). Alcuni suoi versi sono apparsi su riviste italiane e internazionali.
Foto di Sofia Cartuccia
*questa frase viene da "I detective selvaggi" di Roberto Bolaño (Adelphi, 2014).