Lucia De Carli – Poesie inedite

Preghiera in febbraio
10 Aprile 2025

la vita non è un luogo pericoloso –

La "Preghiera in febbraio" di Lucia De Carli

 

 

Delle poesie di Lucia De Carli (Rimini, 2000) colpisce subito il naturale alternarsi dei registri. La divisione in capitoli della silloge sembra suggerire un andamento narrativo lineare, ma — lo si capisce presto leggendo — il movimento nella poesia di De Carli è più simile a una corsa sul posto, al volo della libellula già protagonista del poema di Amelia Rosselli. Anche qui, il racconto si frammenta, si distorce, si contraddice, in un vero e proprio caleidoscopio di voci.

Se la poesia di De Carli ha un tempo, è quello della giovinezza:

 

«Vergogna della mente che si aggredisce

e dà nome al confronto,

come una giovinezza che sarà 

crepuscolo sotto il cielo di alcuni—

forse anche l’unico abete del bosco

può essere sole d’inverno

la vita non è un luogo pericoloso».

 

Gli spazi, invece, sono quelli della nostalgia e del ricordo, in netta opposizione con l'oltranza linguistica dell'autrice ("Espertissimo linguaggio / dell’adolescenza!”, scriveva appunto Rosselli). L'immaginario marinaresco non invita all'avventura, rimanda all'amarezza delle partenze e della separazione. Dalla distanza tra due mari che non si fronteggiano — il Baltico e l’Adriatico — emerge la persona a cui la silloge è destinata. Di lei resta un avanzo di un cibo che odiava, lo hjortron, un frutto giallo tipico delle coste del nord Europa. 

 

«Lo hjortron era ultimo

in fondo al barattolo:

ne potevo mangiare poco per cena.

Ma la persona che quel sapore lo odiava

è rimasta lontana da qui;

continua a dirci che i frutti gialli sono acidi

— non fanno paura, me lo ha promesso;

nessuno ha paura dove è lei».

 

Ad essere sempre più plurale, però, non è l'altro a cui De Carli si rivolge, bensì l'io narrante. La sua poesia è autenticamente lirica in questo senso: siamo tutte le cose che abbiamo amato. Come Cvetaeva nei poemi degli anni venti  — ma anche come Mariangela Gualtieri nel suo esordio Antenata (Crocetti, 1992) — De Carli punta a una poesia totale, in cui un io (o meglio un noi) confessionale possa aderire pienamente a un mondo che non è pericoloso.

 

Fuori dal limite del giardino

un deserto senza pianure

di chi ha in amore l’anonimato,

che è un raro, monotono

caleidoscopio di voci.

 

Se Lucia De Carli fa sua quella stessa lingua che fu di Rosselli e Cvetaeva, Preghiera in febbraio vuole raccontare la memoria collettiva del distacco— e così anche quella delle cose sognate e desiderate. Il procedimento della raccolta (ad oggi inedita) è regressivo: due componimenti non inclusi in questa selezione si intitolano FINCHÉ SAREMO NEL POSTO GIUSTO, SAREMO BAMBINI. Alla fine, tutto ritorna bianco, del bianco degli inizi: è stato lasciato indietro tutto ciò che non era necessario. 

 

 

II

NOME DI CITTÀ

primo atto narrativo

 

In partenza: ciò che non riesco a dire 

come inchiostro bianco su un foglio

bianco o grigio di neve,

o forse sei tu—spettatore

che hai aspettato di vedere versi

meno sospetti, per questa storia

 

il mio quindici di agosto ho pianto  

(agosto è il mese terribile)

e non ho più visto nulla 

per molto tempo

e oggi ancora non vedo nulla.

 

“Viva l’Italia”—mi hanno sentita

in febbraio (quella sera sono uscita di casa)

ti condanno a non dimenticare 

l’odore di tabacco nelle stanze 

e il vuoto dei viali di domenica

e il velluto rosso

e la gloria di patria ritrovata.

 

Di cosa canto non me lo chiede nessuno—

di cosa canto, una scrittura rimasta parola detta

forte da non sbattere neppure

l’ultima delle finestre.

 

Hjortron: scrivo solo parole

incenerite dal tuo odore.

 

Di muscoli fragili frammenti

d’argilla, ferro insapore

frutto dei miei primi passi:

le prime parole definitive

 

ritorno

sono ritornata!

Vi ho portato un canto in dono,

nella voce ascoltate filamenti

di tabacco, di legno da parete.

So che non vedrete mai la mia neve

mentre io a nord ho perso lo sguardo

 

lascia che io dorma accanto a te, Ume

om du kan.

 

Lo hjortron era ultimo 

in fondo al barattolo: 

ne potevo mangiare poco per cena. 

Ma la persona che quel sapore lo odiava 

è rimasta lontana da qui; 

continua a dirci che i frutti gialli sono acidi 

—non fanno paura, me lo ha promesso; 

nessuno ha paura dove è lei. 

Nemmeno io.

 

(Lascia che io dorma accanto a te, Ume

om du kan).

 

Richiamale (ricordi, c’era la neve)

le aquile che rubano le tue prede,

sono consunte le bianche punte:

hanno scoperto lo stendardo

a guerra già inoltrata.

Ho graffiata la coperta di pelle

cibo afrodisiaco per uccelli rapaci

(tu li hai cresciuti fra i capelli

tu li hai nutriti di edera porosa).

Vedo il viso sporco di verde—

giardino di piante velenose

cresciute nel sudore fecondo

e negli aliti bagnati.

 

Era inverno,

non germogliavano bene o male;

biscotti polverosi celebrano un gioco lontano

ne escono dalla fucina della fortezza

offuscano con l’odore di menta

l’ebbrezza, colla delle tue ciglia.

 

Piede che rompi il ghiaccio fangoso,

disvela la vecchia primavera,

di pini e boscaglie lebbrose:

ti condanno a non dimenticare

l’odore di tabacco nelle stanze

e il vuoto dei viali di domenica

e il velluto rosso

e la gloria di patria ritrovata.

 

Canto il febbraio con parole nuove

di umidità tramandata sui muri;

i vecchi cancelli di lacca

ora sono guidati dai marinai,

e una volta noi eravamo belle

con loro

eravamo dolci e belle

e ci vestivamo a festa

per giocare sui teli e sui letti,

ma ora sono fradici di succo di more

e noi preferiamo la terra nuda. 
 

*
 

XVI

LA DANZA DEL CORO

improvvisazioni rimosse

 

Come il cavaliere che balla

alla fine della storia,

ci si inventa una morte felice,

più leggera dei fiori pasquali.

(My mind is jumping off the cliff,

life is not a dangerous place)

la vita non è un luogo pericoloso

 

Siete tutti voi un pattinatore

sopra il confine più ingiusto,

reggere con mani guantate lo specchio 

delle camerate più piene:

uno spettro che chiama aiuto

per non sbagliare strada nell’attesa

la vita non è un luogo pericoloso

 

Vergogna della mente che si aggredisce

e dà nome al confronto,

come una giovinezza che sarà 

crepuscolo sotto il cielo di alcuni—

forse anche l’unico abete del bosco

può essere sole d’inverno

la vita non è un luogo pericoloso

 

La prima giornata a passo

di carovana—fuori, sotto un grigio

di feste e cibi dolci:

sono solo timide paure

contro il canto che non è nulla

di più sconosciuto:

la vita non è un luogo pericoloso

 

Non ho molto da dire

se non un vento che sporca

ogni cosa che tocca,

lo stesso piumaggio distratto

e il suo pennello che ha perso

la grinta della preda

la vita non è un luogo pericoloso.

 

 

Un manichino dai corridoi vuoti

poco riscaldati, la voce che corre—

carezza di muro.

Realtà nella sua massima presenza

che confonde il surreale più ostinato.

Lungo le mie strade di nervi,

un piccolo labirinto disegnato

a carboncino, un aratro

che ricerca il sasso della rottura.

 

Descrivere: rimbalzo la memoria

contro tutte le finestre,

procedere con la chiave del portone

sempre a due falcate di distanza.

Come la minestra calda che sempre

sarà densa all’arrivo del bambino,

quel dolce amico dei mattoni

rincorre le proprie arie

da sotto il letto (del mio ruscello).

 

Nel giorno della parola stanca

che è forse domani,

il castello—la sua pienezza

che sta nelle grandi colpe,

ci sarà un ragazzo sulla collina,

sotto la valle, che non avrà più nulla

con cui piangere di felicità.

 

La lontananza di chi vede

compagnia nell’oggetto vicino

all’ingresso, un cancello

laccato di bianco e scavalcabile

facilmente—eppure io, così poco agile.

 

Avere una mente che gira

su se stessa lentamente

attorno alla giostra nella piazza

ci permette la latitudine del pensiero,

la corda più filata fra tutte

le tristezze dei nodi da marinaio.

 

Fuori dal limite del giardino

un deserto senza pianure

di chi ha in amore l’anonimato,

che è un raro, monotono 

caleidoscopio di voci.

 

Non sarete voi a dirmi 

di non temere più nessuno,

perché, alla fine dei giorni, voi

cosa siete, qui? Non avete avuto

nemmeno il coraggio di 

proclamarvi presenza 

davanti a lui.

 

Che si possano dare colori 

al vetro, è il vero miracolo

che questa sera ha ottenuto

giocando con i dadi.

Il desiderio più asciutto:

la gonna bianca che aspetta

pace—dell’essere riposta

sulla pelle al sole.