I. L'anniversario dell'insalata
Finito di leggere L’anniversario dell’insalata di Tawara Machi, arrivato in Italia su Interno Poesia nella traduzione a cura di Damiana De Gennaro, ho guardato a lungo la copertina bianca che, come per ogni volume della collana, presenta una foto dell’autrice incorniciata da un colore brillante, in questo caso rosa. Non c’è colore migliore per questo libro, non tanto per il carattere in apparenza, e sottolineo in apparenza, romantico dei componimenti, bensì per una ragione, in realtà, quasi macabra. Ma andiamo con ordine: L’anniversario dell'insalata, pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1987, fin dalla sua uscita fu considerato un caso letterario, tanto che all'autrice, Tawara Machi, all'epoca ventisettenne, viene spesso attribuito il merito di aver riportato in auge la poesia tanka, ossia un tipo di componimento formato da 5 versi di 5 e 7 sillabe (secondo questa disposizione: 5, 7, 5, 7, 7). Non è inusuale nella tradizione letteraria giapponese che componimento poetici svolgano una funzione narrativa o compaiano all'interno opere in prosa più lunghe: ad esempio Storia di Genji, da molti considerato il primo vero romanzo mai scritto, contiene numerose poesie waka. In modo simile ma non pedissequo, Tawara Machi utilizza i tanka che compongono una singola sezione per costruire una narrazione. La finezza della sua scrittura, però, non si manifesta solo nell’uso consapevole degli strumenti “metrici” della tradizione. La lingua stessa dell’autrice è ricca di contaminazioni: non mancano riferimenti alla cultura pop, e pertanto numerosi anglicismi trovano spazio tra le pagine del libro con una naturalezza inaspettata, ampliando gli orizzonti del testo e spingendo la forma del tanka verso nuove possibilità. Ma non c’è solo questo da dire su L’anniversario dell’insalata. Poco fa ho scritto che il rosa è il colore perfetto per la copertina questo libro, e lo è per un motivo ben preciso: in Giappone il termine con cui comunemente ci si riferisce a qualcosa di colore rosa è pinku. La parola pinku, come non è difficile intuire, prima di entrare a far parte del vocabolario giapponese era già parte di quello inglese, ed è dunque il risultato di un processo di contaminazione linguistica. Ovviamente il rosa esisteva già in Giappone, ma le parole utilizzate per riferirsi ad esso erano per lo più derivate da elementi osservabili in natura* (momo, ad esempio, per il color pesca, da momo, appunto pesca) oppure esistevano in riferimento a un altro colore (Arazome, infatti, spesso tradotto con rosa, in realtà significa rosso pallido). Ma il rosa cartone-animato, il rosa delle insegne luminose, il rosa associato alla moda gyaru è indubitabilmente pinku, e così come questo colore non avrebbe potuto essere chiamato in nessun altro modo, la copertina di L’anniversario dell’insalata non avrebbe potuto portarne nessun altro.
II. Tokyo, 1987
Quando L’anniversario dell’insalata viene pubblicato, il periodo Shōwa (25 dicembre 1926-7 gennaio 1989) sta per finire e il paese sembra stare ancora cavalcando l'onda del boom economico che aveva avuto inizio nel dopo guerra. La progressiva diffusione e incorporazione di cibo, musica e moda occidentale, per lo più americana, fu in parte conseguenza della crescita economica del paese. Proprio negli anni ottanta presero ad affermarsi movimenti culturali come il visual-key che, nonostante alle origini si presentasse come un genere musicale, con il tempo è anfato trasfromandosi in una subcultura caratterizzata da un determinatotipo di vestiario ispirato in gran parte a quello di gruppi hair metal-hard rock americani come Guns And Roses e Mötley Crüe. Anche la sopracitata moda gyaru, che prende come ispirazione principale lo stile delle ragazze californiane, comincia a diffondersi. Non sorprende quindi che gli ultimi anni della dinastia Shōwa vengano ricordati per l’avanzare di un consumismo sempre più sfrenato: se a partire dagli anni '70 Tokyo ha iniziato ad avere l'aspetto che ha oggi (insegne che illuminano le strade con luci colorate anche nel pieno della notte, super store di più di cinque piani che sembrano infiniti), alla fine del decennio successivo la pubblicità e il bombardamento audiovisivo che ne consegue sono divenuti pervasivi. Il consumismo diventa parte integrante della quotidianità delle generazioni più giovani, per cui: «il capitalismo ha occupato l'orizzonte del pensabile» (dalla prefazione al volume italiano in cui De Gennaro cita Fisher). Tuttavia, sotto la superficie in technicolor dei maxi schermi pubblicitari, delle copertine delle riviste Egg e Popteen, dei primi shojo, si avverte l’arrivo di una crisi. Nel 1989 una bolla speculativa sarebbe esplosa, precipitando il paese in un capitolo catastrofico della propria storia economica. Il libro si apre infatti con questo componimento:
この曲と決めて海岸沿いの道とばす君なり「ホテルカリフォ
ルニア」
tu sei
questo brano
che scorre
con il lungomare:
Hotel California
Hotel California, forse il brano più famoso degli Eagles, parla di un Hotel di lusso, in apparenza paradisiaco, che dietro i mirrors on the ceiling e il pink champagne on ice nasconde un carattere infernale. L’autore stesso del testo ha riportato in più interviste che il pezzo: «è essenzialmente una canzone sull'oscura vulnerabilità del sogno americano, che è qualcosa che conosciamo bene». Se la poesia di Tawara Machi può essrere letta come il testamento di un sogno di ragazza, un sogno nippoamericano per certi versi, è però ben lontana dall’essere infernale, e l’edonismo e il capitalismo non sono espressamente condannati da un Io lirico che esercita una funzione moralizzante; piuttosto, come scrive De Gennaro: «Così come la green light rincorsa da Gatsby nel celebre romanzo di Fitzgerald, che procede secondo le stesse modalità di sostituzione e desiderio, è stata associata al tramonto dell'American Dream, credo che L'anniversario dell'insalata mostri già i segnali di una crisi ormai non più solo individuale, ma condivisa dall'inconscio di un'intera generazione». Se Tawara racconta come la pubblicità e il consumismo siano diventati parte integrante del nostro modo di relazionarci, il cibo non può che rappresentare il nucleo simbolico della raccolta, essendo l’oggetto di consumo per eccellenza. Sempre secondoDe Gennaro: «Se è vero che la letteratura, come il cibo, ‘sembra un oggetto ma in realtà è una relazione’, ad essere messa in scena tra i due amanti, qui c'è l'ombra di un terzo personaggio: il senso di impermanenza - mujo: fondamentale leitmotiv della poesia giapponese di tutti i tempi - che, in epoca contemporanea e attraverso le lenti di Tawara Machi, viene riempito, coperto, o anestetizzato solo dal cicalare continuo della pubblicità». Il rosa non è quindi solo il colore rappresentativo con cui i brand ammicano alle giovani donne, delle copertine dei dischi, dei capelli dei personaggi degli anime: è soprattutto il colore della lingua, della bocca, gli organi che usiamo per mangiare, per parlare, ma anche per baciare o mordere.
III. Il cibo e l'erotismo nella letteratura Giapponese (e non solo)
Il tema dell’erotismo non è mai affrontato in modo banale nelle poesie di Tawara. Il libro, che non racconta una relazione ma le relazioni, non sembra attribuire alcuna connotazione morale al rapporto tra cibo ed eros, allo stesso modo in cui racconta l’epoca in cui è stato scritto astenendosi da considerazioni apertamente politiche. La politica però entra ne L'anniversario dell'insalata in modo più sottile e più profondo: il tema della cucina, inteso come metafora della creazione e della cura, è stato per molto tempo associato alla dimensione femminile. Allo stesso modo, motivi ricorrenti che riguardano l’assunzione di cibo, potenzialmente interpretabile come metafora dell’incorporazione dell’altro, possono essere rilevati in corrispondenza di personaggi femminili sia nella letteratura occidentale che in quella orientale. Un buon esempio di come un personaggio femminile possa caratterizzarsi nell’atto di mangiare si trova senza dubbio nelle prime pagine de Il sole si spegne di Dazai Osamu, classico della letteratura giapponese:
La mamma si lasciò sfuggire un debole lamento. Stava mangiando la minestra, in sala da pranzo.
Pensai che qualcosa di disgustoso fosse caduto nella minestra. "Un capello?" le domandai.
"No." La mamma si versò in bocca un'altra cucchiaiata di minestra, come se nulla fosse accaduto. Poi volse il capo da un lato, diresse lo sguardo sul ciliegio in pieno fiore, fuori della finestra di cucina e, la testa ancora reclina, vibrò un'altra cucchiaiata di minestra fra le labbra. La mamma mangia in modo così diverso da come prescrivono le riviste femminili, che, nel suo caso, la parola "vibrare" non è un semplice modo di dire.
Anche nell’opera di Tanizaki, maestro della letteratura erotica contemporanea giapponese, il tema culinario non manca. In Neve Sottile c’è una sovrabbondanza di scene che si svolgono durante i pasti, sia a casa che nei ristoranti (in un passaggio memorabile, Tanizaki descrive nel dettaglio la consumazione di sushi danzante, ovvero sushi assemblato con molluschi e creature marine ancora vive, a cui la protagonista è restia a prendere parte allo stesso modo in cui è restia a sposarsi). Così come Il sole si spegne, anche questo libro è ambientato alla fine della seconda guerra mondiale e racconta il cambiamento repentino dei costumi verso cui la società giapponese si stava avviando in quel periodo. Esempi più recenti di letteratura culinaria includono Kitchen, di Yoshimoto Banana, dove la cucina diventa prima un luogo in cui nascondersi senza nutrirsi e poi spazio di condivisione e guarigione. Yoshimoto è più o meno coetanea di Tawara, e come sottolinea Damiana De Gennaro: «È negli anni Ottanta che in Giappone si sviluppa una notevole attenzione su tutto ciò che riguarda il campo gastronomico: la dimensione gourmet, o anche solo la cucina, inizia infatti a farsi sempre più strada in letteratura, al cinema, e nella stragrande maggioranza delle produzioni culturali di massa. Non è dunque un caso se scrittrici come Yoshimoto Banana (1964) e Tawara Machi (1962) siano figlie - ed espressione - di questo milieu». Questo discorso però non si applica solo alla letteratura giapponese: un altro esempio, sempre piuttosto recente, di femminile-alimentare in narrativa può essere trovato in Korea del sud, nel La vegetariana di Hang Kang (insignita quest’anno al premio Nobel per la letteratura), che esplora il tema della violenza passando per quello dell’alimentazione (di per sé un atto violento, in quanto implica il consumo di un essere vivente, che sia pianta e animale). È interessante notare che per scrittrici come Yoshimoto, Tawara e Kang, tutte nate in Asia negli anni sessanta, il cibo non abbia più il valore metaforico che aveva per i loro predecessori, ma diventi oggetto principale della narrazione, e soprattutto oggetto di desiderio.
IV - Oggetti di consumo e oggetti di desiderio
Il cibo negli anime è meraviglioso. Ricco di dettagli, più delle figure umane presenti sullo schermo, al punto da fare invidia alla Natura morta con aragosta di Kalf. Viene spesso presentato allo spettatore mediante un’inquadratura statica di pochi secondi. La narrazione si arresta, tutto sullo schermo è immobile, se non per qualche nuvoletta di fumo che si solleva dal piatto bollente. Chi guarda è costretto a contemplare quell’opulenza alimentare, a cui i personaggi reagiscono con espressioni farsesche ed esclamazioni esagerate. Mi sono sempre chiesta perché il cibo negli anime avesse un aspetto così invitante e, soprattutto come mai rivestisse un ruolo tanto importante. Guardando quelle porzioni di wanton affiancate da fette di carne di maiale di un rosa impossibile ho provato spesso il desiderio di partecipare a quel pasto assolutamente idillico. Il cibo degli anime è per me oggetto di desiderio, quella cosa preziosa che l'Altro detiene e che il soggetto mira ad avere, nell'illusione di colmare la propria mancanza (lacanianamente). Non per caso il cibo negli anime viene spesso utilizzato come metafora amorosa. Tutta la carica erotica nell’incontro tra due personaggi trova il suo culmine nel momento dello svelamento, non del corpo ma del cibo, che assume un valore ancora più intimo (si pensi a quanto cibo è presente in Nana, uno dei manga/anime romantici più famosi in assoluto). Questa non è la sede in cui snocciolare la questione, ma è il momento giusto per puntualizzare che l’insalata, nel libro, stando a quanto dichiarato dall’autrice esiste solo per ragioni metriche. L’avvenimento che racconta nella poesia che dà il titolo all’opera differirebbe dal resoconto per un dettaglio: i protagonisti, in realtà, non stavano mangiando insalata, ma pollo fritto, karaage: «Non c’era nessuna insalata, e non era nemmeno il sei di luglio. Avevo preparato karaage – delle ali di pollo fritto leggermente infarinate – in modo un po’ diverso dal solito. Avevo aggiunto curry in polvere, e la persona per cui avevo cucinato all’improvviso aveva esclamato è delizioso!». Ma è davvero importante che l’anniversario sia dell’insalata e non del pollo? «L'insalata funziona secondo la logica di una campagna pubblicitaria, che crea un investimento affettivo sull'oggetto di consumo dotandolo di un'aura che è al tempo stesso inimitabile e a portata di mano», puntualizza De Gennaro. La linea di demarcazione tra oggetto di consumo e oggetto di desiderio nella poesia di Tawara Machi è sottilissima. Se l'oggetto causa del desiderio, per definizione, non è qualcosa che rimane in nostro possesso, ma piuttosto un'esperienza che ci muove e ci orienta nei pensieri, sentimenti e azioni. Restando nell'ottica de L'anniversario dell'insalata, un discorso simile può valere per l’oggetto di consumo, che è destinato ad esaurirsi o a esaurire la sua funzione, che sia essa una funzione effettiva o di rappresentazione/sostituto. In un componimento in cui Machi racconta la rottura con un compagno, lo fa così:
「元気でね」マクドナルドの片隅に最後の手紙を書きあげ
ており
allora
stammi bene –
gli scrivo
quest’ultima lettera
da un angolo del McDonald’s.
Nel Giappone degli anni ’80 sembra impossibile concepire desiderio e consumo come due cose separate, quindi, inevitabilmente, la persona amata, che era oggetto di desiderio, si trasforma in oggetto di consumo.
In conclusione, benché questo libro possa sembrare leggero e perfino frivolo a un lettore poco attento, i riferimenti alla pubblicità e la cultura non sono mai casuali (come visto in precedenza nel caso di Hotel California) e i continui rimandi al cibo, benché all’inizio possano provocare un senso di disorientamento, opposto a quel senso di meraviglia infantile che proviamo alla perfezione irraggiungibile delle pietanze animate, si rivelano essere il cuore commestibile dell’opera. Se il libro parla di consumo, però, non lo definirei un libro di consumo: ogni cosa, dalle canzoni in radio alle riviste strapiene di pubblicità, viene assimilata dalla narrazione, ma mai davvero consumata, poiché con l’atto della scrittura anche quanto di più insolito e mondano viene fissato sulla pagina non vorrei dire per sempre, ma di certo nell'ottica di una durata superiore a quella riportata dalla data di scadenza del ramen istantaneo.
V. ...E ho anche fame
Tokyo non è stata la sola città ossessionata dal cibo negli anni ’80. Pensiamo all'espressione "Milano da bere" che trova la sua origine in uno slogan pubblicitario ideato nel 1985 da Marco Mignani per l’Amaro Ramazzotti. Il suo utilizzo, principalmente giornalistico, si manifesta in relazione ad alcuni ambienti sociali della città durante gli anni ’80, un decennio caratterizzato dalla percezione di benessere diffuso, dall’arrivismo dei ceti sociali emergenti e dall’ostentazione. L’inizio di quest’epoca si fa risalire al 1981, convenzionalmente indicato come fine degli anni di piombo, mentre la sua conclusione viene collocata nel 1992, con Tangentopoli e il termine della prima Repubblica. Proprio negli anni ’80, in Italia, sono comparse alcune raccolte di poesia a tema erotico scritte da due poetesse oggi annoverate tra le più importanti della loro generazione, entrambe attualmente residenti a Milano. Mi sto riferendo, naturalmente, a Teresino di Vivian Lamarque, che abita nel capoluogo lombardo dall’età di quattro mesi, e a Medicamenta, La tentazione e Donna di dolori di Patrizia Valduga, che invece si trasferì a Milano a inizio decennio. Benché scritte in modo molto diverso, tutte queste opere toccano il tema dell’erotismo e della sessualità e, rileggendole, mi sono resa conto che in loro il mangiare occupa uno spazio piuttosto importante, anche se non apparentemente centrale. La poesia di Valduga allude continuamente al topos dell'incorporazione dell'amante, in un contesto che non esiterei a definire quasi iper-letterario: la lingua diventa oggetto della lingua e la parola si piega su sé stesa: Sa sedurre la carne la parola, / prepara il gesto, produce destini… . Lamarque, anche (Posso saltarti al collo? / fare un sogno di te? / guardarti e toccarti? / assaggiarti un pezzetto? / farmi i codini fischiare? / giocare al lupo avere paura? / mangiarmi tutta con la tua bocca? / Sì?). Sempre in Teresino, il momento del pasto diventa cruciale attraverso l’immagine del posto vuoto nella poesia eponima (Il tuo posto vuota a tavola / parla racconta chiacchiera ride forte / non sta mai fermo si alza / ritorna mangia avanza sempre un boccone / ritaglia nel formaggio forme di animali / il tuo posto vuoto a tavola / a destra di Miryam / è di fronte a me). Se il cibo può essere utilizzato come simbolo di emancipazione femminile (una donna che divora senza ritegno della carne cruda, come nel film Raw, è un’immagine scandalosa) non si può negare che il discorso letterario sul cibo sia da sempre legato anche al discorso erotico. Se desiderare l'altro può significare volerlo divorare, allo stesso modo significa anche voler essere divorati. Dopotutto, legarsi a qualcuno intimamente comporta una rinuncia alla propria indipendenza, anche se per poco, in quanto nel sesso chiunque (ma in particolare modo le donne) si trova in una posizione di assoluta vulnerabilità. Al contempo, percepire l'altro come un alimento, ovvero qualcosa di cui si ha bisogno per sopravvivere, è morboso, ma ugualmente intrigante. Forse in questo sta il nodo cruciale del rapporto tra cibo ed erotismo, o forse è diventato per noi impossibile pensare al sesso senza pensare al consumo e, nella sua forma più estrema, al cannibalismo, perché questo è diventato il vertice del nostro orizzonte immaginativo. Non mi interessa tanto dare un giudizio morale sulla questione, anche perché la storia della letteratura erotica coi pasti è lunga e strana (mi viene in mente Sade, ma anche Bataille). In conclusione, direi che il galateo esiste da prima del cibo degli anime, e che se una scorpacciata può essere pornografica anche l’idea di essere mangiati interi dal proprio amante e scomparire del tutto ha una sua attrattiva. Mangiare carne può essere repellente. Tuttavia, l’idea di mangiare carne umana è tremenda e affascinante. Forse perché la carne è rosa quando è cruda come una bocca, perché l’alimentazione, come spiegato all’inizio dell’articolo è intrinsecamente legata alla parola, e scrivere di mangiare è come immaginare qualcosa di impossibile, come un parto al contrario, o, come direbbe Valduga, preparare il gesto.
*Lascio qui i link a un paio di risorse sul colore nell'arte e nella letteratura del Giappone antico, per chi volesse approfondire:
https://www.asianstudies.org/publications/eaa/archives/colors-of-japan-literature-comes-to-the-table/
https://en.m.wikipedia.org/wiki/Traditional_colors_of_Japan