Distanza e relazione

Una lettura di "La grande tana" di Federica Scaringello
28 Settembre 2023

 

La grande tana di Federica Scaringello viene pubblicata nel 2023 sul diciottesimo numero della rivista Poesia per Crocetti/Feltrinelli nella sezione curata da Milo De Angelis che puntualmente dedica uno spazio (I poeti di trent’anni) per presentare la poesia di autori/autrici nati/e negli anni novanta. Solitamente, in questa rubrica viene proposta una selezione di testi provenienti da un altro progetto, e che quindi non possono essere letti se non nell’ottica di estratti provenienti da un contesto più ampio che in questa sede non è stato pienamente sviluppato. Ma le poesie di Scaringello sono impostate in maniera tale da richiedere un tipo di lettura che ne tenga conto come di un progetto compiuto, come sembra suggerire anche il solo il numero di componimenti inclusi nella pubblicazione, quarantadue. Se confrontati con i trentasei componimenti inclusi nel precedente libro Lupa, questi nuovi chiedono di essere letti con la stessa considerazione che solitamente si riserverebbe a un’opera compiuta o quantomeno organica, come lo è, a conti fatti, La grande tana. Anche solo confrontando i titoli delle due opere, c'è una specie di continuità: sia la lupa che la tana rimandano a un immaginario bestiale, più che animalesco, ma con una differenza abbastanza importante. Lupa è un titolo che il lettore (io) non può fare a meno di riferire in qualche maniera (magari anche erroneamente) a una figura di protagonista ben definita, per via della esplicita presenza dell’animale, pienamente connotato (lupa e non lupo); invece, La grande tana ci rimanda a uno spazio che, pur essendo proprio della bestia, esiste anche senza che questa vi sia presente. L’idea che passa è quella di un rintanarsi, o comunque di un’ambiente dove l’animale selvatico si ritira, dando quindi l’impressione di un arretramento. Tuttavia, la prima poesia della raccolta in cui compare la parola "tana” non ha a che fare col nascondersi in questa, ma col fuggirne:

 

Fugge dalla tana in fiamme
senza riposo sempre
il cammino  
condanna il fiato.

 

Così la prima impressione (almeno, la mia) viene smentita, e l’immagine del nascondiglio lascia spazio a quella di un rapporto fatto dal susseguirsi di ingressi e di uscite dalla tana, un andare e tornare piuttosto che una sola fuga. La vera portata di questo movimento di rincorsa, avanti e indietro, viene data dalla prima poesia della silloge:

 

Mi sogno vecchia  
ultima superstite della Terra
la polvere  
trema nella frana
il mio
era un segno di fuoco.

 

La Terra (quella con la “T” maiuscola) ci proietta dal secondo verso in una dimensione cosmica, planetaria, che poi diventa interplanetaria col segno di fuoco, che ci porta in area astrologica. In quest’ottica, non possiamo neanche ignorare l’esergo preposto alla raccolta, una poesia di Arsenij Tarkovskij,  che si chiude così: e con le costellazioni aliene faremo / i conti sulla madre terra. Questi ultimi due versi vengono ripresi subito dalla poesia di Scaringello che li segue (quella riportata poco fa), ma invertendone l’ordine delle immagini: prima menziona la Terra, e poi chiama in causa il “segno di fuoco”, letteralmente una costellazione aliena, e non è un capovolgimento gratuito, perché ci mette già nell'ordine di idee di prestare attenzione a richiami e inversioni, a come mettere in dialogo elementi ricorrenti. Ma se ritorniamo al titolo dell’opera, questa dimensione cosmica sembra all’estremo opposto della tana, che per forza di cose è molto distante dall’immensità evocata dalla prima poesia; immensità che non è solo spaziale, ma anche temporale, dal momento che Scaringello si proietta come ultimo essere vivente sulla Terra, in un futuro che si suppone sia abbastanza remoto (Mi sogno vecchia). Si gioca qui la sfida del libro, che credo sia quella di mettere in relazione questa grande tana di partenza e l’ordine cosmico, di avvicinare la massima distanza verso una sfera più terrena per poterci veramente fare i conti, superando il limite della lontananza; per farlo, lo strumento ideale è quello dell’orbita.  Se la distanza demanda una prospettiva statica (in fisica è il tratto di linea retta che congiunge due punti, che sono quindi stati “puntati”, ossia fissati), l’orbita (sempre in fisica, il percorso incurvato seguito da oggetto attorno a un corpo nello spazio a causa della gravitazione esercitata da quest’ultimo) ci pone in un contesto di relazione: mentre la distanza non presuppone alcun tipo di influsso da parte di un corpo sopra un altro corpo, l’orbita può verificarsi solo e solamente per via di un qualche genere di attrazione fra due corpi, che vengono proiettati nel tempo e fanno una storia. Nonostante la parola orbita non figuri mai in La grande tana, compare lo stesso una menzione al “giro dei pianeti” (che è perifrasi di orbita):

 

Nel giro dei pianeti
ci sei anche tu

col tuo ridere sapevi
di esserti perduta.

 

Il concetto di orbita sicuramente si associa bene all’apertura cosmica già menzionata (la parola “Terra” compare altre due volte nella raccolta); inoltre, mette in campo una specificità del testo che è preponderante non solo al livello tematico, ma anche a quello compositivo. La grande tana si presenta infatti come una successione di brevi componimenti, solitamente di quattro o cinque versi, che come più immediato carattere stilistico hanno la particolarità di riproporre frequentemente le stesse parole o immagini (come la prima poesia aveva già fatto con l'esergo del libro intero): vediamolo con la parola “cammino”: "Nelle strade nere / qualcuno fa l'appello / per un unico cammino / crocevia del tuo viso / che da carne / si fa oblio." (3); “Fugge dalla tana in fiamme / senza riposo sempre / il cammino  / condanna il fiato.” (7); "Il cammino di fuoco [con richiamo alla prima poesia “segno di fuoco”] / appare / come un disegno della Terra / colpevole di non dire / si fa forma ripetuta / cancella il tempo.” (13); “Dammi questo niente / che porto nelle mani / scambio bastardo / fuoco in cammino [inversione di “fuoco” e “cammino”] / sulle rovine degli aguzzini.” (22) Così facendo, andando dietro alla parola “cammino” abbiamo smesso di seguire il percorso regolare della raccolta e abbiamo tracciato un itinerario alternativo, che presenta delle coerenze non casuali, come questa: è una coincidenza che tutte e quattro le poesie sul cammino abbiano un verso di chiusura legato a qualcosa che subisce una fine? Il viso si fa oblio, il fiato viene condannato, il tempo cancellato, e l’ultima poesia della serie si chiude con la visione delle “rovine degli aguzzini”, e non è neanche un caso che l’elemento del fuoco si inserisca gradualmente insieme a quello del cammino: nella prima poesia le strade sono nere, quindi non c’è luce o fiamma che la produca; nella seconda la tana prende fuoco ma compare la parola “fiamme”, che allude all’elemento senza chiamarlo in causa;  nella terza è il cammino ad aver preso fuoco, anzi, a essere diventato di fuoco; nella quarta è il fuoco stesso a essersi messo in cammino portando rovina agli “aguzzini”. In questa microsequenza abbiamo assistito all’instaurarsi di una relazione fra due figure ricorrenti di La grande tana, il fuoco e il cammino, che però figurano per la prima volta in poesie separate: il fuoco nella prima, il cammino nella terza; a separarli una poesia, questa:

 

Distanza cupa
tra ogni parte di te  
ere geologiche e
un solo deserto
dentro e fuori.”

 

Che tematizza proprio la distanza, chiamandola in causa e invitandoci a considerarla; cosa che possiamo fare provando ad applicarla alla sequenza del fuoco in cammino. Nel farlo, contiamo le poesie che separano le quattro che abbiamo individuato: la prima e la seconda sono separate da 3 poesie; la seconda e la terza da 5; la terza e la quarta da 8. La conclusione: man mano vanno facendosi più distanti le une dalle altre, ma lo fanno nel momento in cui il fuoco e il cammino si stanno invece avvicinando fino a unirsi, da una poesia all’altra, entrando in relazione e attirandosi. Un esempio di un’orbita, che a livello compositivo esiste nella compresenza in queste poesie di un movimento di allontanamento tipografico e di un movimento di avvicinamento tematico. Ma questa non è l’unica orbita rintracciabile nella raccolta, e ne riporto una seconda a titolo di esempio (poi la smetto di riportare poesie perché ne ho citate anche troppe) sulla parola e il dire:  “Non basta la parola / è falsa forza / scheggia / minuscolo passo di creatura.” (4); “Meglio re che regina / graffio nella Storia / pronuncia la parola andare / fino a sparire.” (8); “Nella notte / sembra lontana / la parlata sconosciuta / chiede il segreto / l’equilibrio dei secoli.” (11);  “Ti riporta al destino / il mese dei morti / la parola diventa cifra / sentenza sibillina.” (27); “Il colpo nell’acqua / come unica sapienza / la parola mancata / sfugge al patto cristallino.” (29) La sequenza potrebbe proseguire oltre, la questione del dire, pronunciare e chiamare persiste lungo tutto il corso del libro, ma queste poesie possono bastare per riconoscere quella sequenza orbitante già vista per il cammino; qui le poesie sul tema si fanno più vicine, con la prima e la seconda separate da 3 poesie, la seconda e la terza da 2, la terza e la quarta da 15, la quarta e la quinta da 1. L’importante per individuare l’orbita non è tanto la regolarità dell’intervallo tra una poesia e l’altra, quanto la presenza di un discorso continuo e serrato fra testi che appaiono separati, cosa che in questo caso ci si trova di fronte: la parola “parola”, dopo essere comparsa nella prima poesia, compare nella seconda, poi sparisce, come profetizza per “la parola andare” la poesia stessa. La si ritrova diluita in “parlata” nella terza poesia, che si chiude con la prospettiva temporale vertiginosa dell’ “equilibrio dei secoli”, che però fa da aggancio per la ricomparsa di “parola” nella quarta poesia dell’orbita (che è marcatamente ellittica): da “secoli” a “mese”, un’altra misura del tempo, il mese però “dei morti”, degli scomparsi. Infatti, nell’ultima poesia della serie, la parola si fa mancata, e sfugge al “patto cristallino”, dalla natura allusiva ma che si apre ad altri testi. Questo perché così come le parole entrano in relazione, anche le orbite possono farlo: questa su parola e tempo amplia la portata del “cancella il tempo” della terza poesia su fuoco e cammino, dal momento che inizialmente presenta un tipo di tempo che è Storia (storiografia scritta e detta) che al suo massimo riesce a essere una porzione di retta i cui estremi spariscono nel nulla, mentre il cammino di fuoco come “forma ripetuta” esito del “non dire” (qui l’allusione della parola mancata, e all’elemento dell’acqua che per opposto rimando sempre al fuoco) introduce un sistema alternativo coerente con l’impostazione del libro stesso, che attraverso queste orbite rintracciabili attraverso parole ripetute sfugge alla linearità testuale per un sistema ellittico. Del resto, ripetizione e ritorno sono caratteristiche proprie del moto orbitante, e ci ricolleghiamo così all’osservazione iniziale fatta sui titoli dei due libri di Scaringello, specialmente alla grande tana come immagine più prossima a un covo da cui partono queste poesie-incursioni che non a un rifugio in cui occultarsi. “Ritorno” è anche la parola conclusiva dell’ultima poesia originale del libro; le ultime quattro della silloge in realtà erano già presenti nella raccolta precedente di Scaringello, da cui ritornano per chiudere questa raccolta che si configura ancora di più come un percorso di lettura non lineare, andando da un libro a un altro, da una sequenza all’altra; una delle poesie conclusive della raccolta mette in relazione questi ritorni con una rottura della linearità:

 

Non è la specie
a dettare le regole
la linea si interrompe
sotto il sole
il segnale diventa custode.

 

Per chiudere l’orbita, guardiamo allora anche alla prima parola “piena” del libro, ossia “sogno”, che ha a che fare anch’essa col ritorno: la dimensione del sogno prevede infatti un ritorno, dal momento che esiste in quanto sospensione temporanea di un’altra dimensione che deve necessariamente riaffermarsi. La grande tana allora opera in questo spazio sospeso che però si pone come occasione di accorciamento delle distanze in un’ottica relazionale, puntando, per accordarle, su chi legge e si accosta alla raccolta non come se avesse davanti una successione lineare di versi, ma una mappa stellare che indica percorsi e rimandi, in cui l’ordine dei testi è una proposta, la lettura incrociata una possibilità per delineare più risposte.