Che cos'è la poesia femminista?

Per una critica svincolata dalla narrativa patriarcale
17 Luglio 2023

 

 

 

Nel 2023, ora che il femminismo è discusso anche dalle generazioni più giovani su qualsiasi piattaforma e alla cosiddetta letteratura femminista sta, finalmente, venendo data una rinnovata attenzione accademica e critica, la domanda di scrittrici e poetesse è aumentata considerevolmente. Tuttavia, poiché tutti gli occhi sono puntati sulle autrici, per ogni libro che esce ci sarà sempre qualcuno pronto a parlarne male. Essere una poetessa, di questi tempi, ha implicazioni a cui nessuna di noi aveva pensato quando, da piccole, alla domanda: "Che cosa vuoi fare da grande?” Rispondevamo: “Mi piacerebbe scrivere”. Pur vivendo in un secolo in cui alle donne è concesso di emanciparsi dalle norme di femminilità tradizionale, il modo in cui queste scelgono di farlo è spesso giudicato mediante criteri morali derivati da usi e costumi patriarcali, e questo vale anche per la poesia. Diventa difficile quindi definire cosa sia la poesia femminista quando gli strumenti critici di cui disponiamo, con cui siamo stati cresciuti, risentono di una cultura ad oggi ancora permeata di sessismo. Al di là della poesia femminista, esistono di sicuro poetesse apertamente femministe. Tuttavia, una presa di posizione così netta non è sempre ricevuta positivamente. Se sei una poetessa e non sei femminista, riceverai di sicuro qualche occhiataccia, ma nessuno ti farà domande al riguardo perché, tutto sommato, non siamo ancora abituati a sentire questa parola che fa tanta paura. Se invece sei una poetessa e sei femminista, la questione si complica: non puoi dire queste cose apertamente, non sia mai che uno di quei vecchi letterati con una rubrica di opinioni su un quotidiano locale non gradisca il termine e faccia capricci perché, in quanto uomo, si sente escluso— o peggio, che tu venga accusata di non essere veramente femminista. Comunque, cosa sia effettivamente la poesia femminista resta un mistero.

Cercando online “poesia femminista”, i risultati sono spaventosamente diversi tra loro, almeno dal mio device. Primo articolo: un archivio di poesie, si presume femministe, di diverse autrici da tutto il mondo, molte delle quali non hanno mai parlato espressamente di femminismo, come ad esempio Emily Dickinson. Secondo risultato: Milk and Honey di Rupy Kaur, e su questo stenderei un velo pietoso se non fosse per il fatto che Milk and Honey esemplifica un problema di fondo di tutta la questione. è un libro femminista? forse, di sicuro voleva esserlo, ma resta un libro abbastanza brutto a mio modesto avviso. È inoltre chiaro come il successo che l’opera ha trovato anche presso un’audience più conservatrice sia, in parte, dovuto al fatto che Kaur eviti qualsiasi possibile controversia promuovendo un femminismo liberale, basato sull’empowerment (letteralmente la presa di potere del soggetto) piuttosto che sulla decostruzione dei valori patriarcali su cui poggia la nostra cultura, sulla solidarietà femminile, e sull’internazionalità delle lotte. Dunque, il femminismo in quel libro non costituisce un problema per chi non vuole sentirne parlare, essendo esso rappresento come un percorso conoscitivo di perfezionamento dell'individuo piuttosto che come un movimento improntato a migliorare la qualità di vita della donne e degli altri gruppi marginalizzati confrontandosi direttamente con la società di cui questi fanno comunque parte. Le case editrici si sono quindi trovate di fronte all’occasione perfetta per strizzare l’occhio a quella parte di pubblico che sperava sinceramente di trovarsi davanti a un’autrice rivoluzionaria, senza rischiare di perdere quelle potenziali clienti che divorano libri di self-help e praticano mindfulness, inconsciamente convinte di essere loro ad avere un qualche tipo problema, e non il contesto in cui vivono, essendo la loro rabbia e la loro frustrazione continuamente delegittimizzate. 

I suggerimenti di ricerca invece ci propongono “poetesse italiane”, quasi a voler indicare che qualsiasi poesia scritta da una donna sia poesia femminista. Ma è davvero così? C’è una differenza tra un punto di vista femminile e una prospettiva femminista. Certo, quando una poetessa scrive dà alla propria voce la stessa importanza che si concede di darsi un qualsiasi poeta che fa la stessa cosa. In un secolo in cui le donne erano spesso messe a tacere, autrici come Sexton e Plath sono riuscite a spiccare in un panorama letterario dominato da uomini senza mai mancare di fedeltà verso sé stesse, restituendo quindi ai lettori un’autentica rappresentazione della propria interiorità e della propria esperienza del mondo. Temi come la sessualità femminile, la maternità e la segregazione di genere sono stati esplorati in profondità da queste autrici, che probabilmente non disponevano degli stessi strumenti e della stessa consapevolezza che abbiamo noi oggi per interpretare le loro opere. La poesia però non è solo confessionale e, oggi più che mai, la valenza dell’io in poesia è oggetto di discussione critica. Non intendo scendere nel dettaglio al riguardo in questa sede- quello che appare evidente è che la poesia è cambiata tantissimo nel corso degli ultimi 50 anni, e sta continuando a cambiare a velocità esponenziale. Ipotizziamo quindi che una poetessa decida di fare poesia di ricerca in un’ottica femminista: probabilmente si troverà a gravitare attorno quelle autrici che, nel Novecento, ebbero il coraggio di dirsi apertamente femministe. Anche il femminismo però è cambiato nel corso degli ultimi cinquant'anni, forse più di quanto sia cambiata la poesia, e c’è un motivo se si parla di “ondate” di femminismo. 

Ogni autrice è quindi costretta a inventare il proprio femminismo, quasi il termine dovesse servire a giustificare scelte stilistiche e contenutistiche piuttosto che a voler indicare un impegno politico da parte della persona. Ormai siamo nell’epoca dell’attivismo online e, per quanto la divulgazione sia importante, attivismo e politica non sono sinonimi. Questa potrebbe essere una unpopular opinion, ma dimostrare pubblicamente compassione per problematiche relative a una tematica sensibile non equivale a cercare attivamente di contrastare il sistema di stampo patriarcale che ne è causa principale. Ciononostante, agire essendo d’ostacolo a una società ancora maschilista, dove qualsiasi forma di femminilità è demonizzata e le donne sono ancora costrette a provare il proprio valore in un ambiente, comunitario e lavorativo che sia, in cui la prospettiva maschile è considerata la norma a cui conformarsi, è molto facile: basta dire di no, rifiutare la narrazione patriarcale che viene proiettata su di noi dal momento in cui veniamo al mondo (narrazione di cui risentono anche gli uomini, e che trascende il genere con cui ci identifichiamo). Nello specifico, quando si tratta di poesia e poetesse, la narrazione patriarcale è la seguente: la poesie femminile manca di specificità, il linguaggio è informale, intimo, il tema diaristico, sempre biografico, e inequivocabilmente sentimentale. A volte la poesia femminile è davvero così, a volte no, a volte in questa categoria rientra anche la poesia maschile. È uno stereotipo, e secondo me nessuno di questi fattori è davvero rilevante a determinare l’efficacia di un componimento poetico. Questa narrazione, però, è presente anche nell’antologia Poeti italiani del Novecento, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, in cui è inclusa una sola autrice, Amelia Rosselli.

«Osando una formula, si potrebbe parlare di identificazione tendenzialmente assoluta della lingua poetica col registro del privato, del vissuto-quotidiano personale: equazione realizzata per la prima volta e coi risultati finora poeticamente più efficaci, io credo, dalla Rosselli, un’iniziale atipica che anche per questo oggi si rivela un’anticipatrice. E forse si possono già indicare i pericoli di tale atteggiamento. Che non stanno tanto, direi, nel fatto che i tentativi di ricostruire un tessuto «espressivo» (e comunicativo) e di recuperare dimensioni diaristiche comportano spesso scivolamenti in forme di intimismo neo-crepuscolare. Quanto proprio nel venir meno del senso della specificità del linguaggio poetico: il quale poi significa (e significava negli operatori più avvertiti del periodo precedente) non solo coscienza e volontà di scavo di tale specifico, ma anche e soprattutto possibilità di far intendere, attraverso questo e la sua separatezza, l’esistenza dell’altro dalla poesia, e comunque di altri «linguaggi» che modellizzano e interpretano il reale. Paradossalmente, ma non tanto, la poesia come figura dell’assoluto privato può invece mostrare, negando di fatto o assorbendo magmaticamente il diverso da sé, una faccia «totalitaria». (In modo analogo, vedo che ora Asor Rosa ha scritto [sull’«Unità» del 12-5-’78]: «io mi azzarderei a dire che oggi, quanto più il discorso poetico tende a farsi quotidiano, tanto più la situazione generale si fa regressiva».

-Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del novecento, 1978.

Tradotto in termini quotidiani e regressivi, o semplicemente più comprensibili, Mengaldo ci sta dicendo che queste donne con lo loro lotte per i diritti, il loro rifiuto per una «stilizzazione mediatrice» e per il canone patriarcale, ci hanno riportati ai tempi di Quasimodo! Dopotutto è risaputo che le donne sono governate dalle proprie emozioni, spesso instabili, e dunque la poesia femminile risenta di un esasperato intimismo. Questo libro, comunque, edito per Mondadori, è ancora materiale d’esame in molte università italiane ed è considerato un punto di riferimento fondamentale nella poesia contemporanea, pur essendo uscito nel 1978, due anni dopo Donne in poesia, antologia a cura di Biancamaria Frabotta (per quelli che diranno che ai tempi c’era una diversa sensibilità). Proprio l’antologia di Frabotta e altri progetti simili sono oggi, come allora, fraintesi. Molte autrici hanno preferito non essere inserite in Donne in poesia, forse per paura di essere tacciate di escludersi dalla scena letteraria italiana ed escludere, per una volta, un punto di vista maschile. Ad esempio, Elsa Morante compare nel volume con la sola scheda biografica, non avendo voluto partecipare. Qui rimando all’articolo: MONDO ILLEGITTIMO? DONNE IN POESIA POST ’68, a cura di Elisa Donzelli, in cui si parla più approfonditamente dell’antologia e della legittimazione della specificità autoriale di una donna nel mondo della poesia italiana. In questa sede è piuttosto mio interesse evidenziare come a volte siano le donne stesse a rifiutare il termini come poetessa, autrice, letteratura femminile quando si parla della loro poesia, poiché hanno internalizzato la visione negativa che si ha comunemente di queste “etichette”, che possono essere viste da un lato come categorizzazioni nate a causa dell’emarginazione di stampo patriarcale, dall’altro come spazi da reclamare. Non c’è un modo giusto di porsi alla questione, in quanto si sarà tacciate di sessismo in ogni caso e agli occhi degli uomini, uomini che ricoprono posizioni di potere all’interno dell’editoria e dell’accademia s’intende, resteremo sempre scolarette che bisticciano. Allora, se non basta dire di essere poetesse femministe per fare poesia femminista, ma a quanto pare qualsiasi libro scritto da una donna è automaticamente femmista, che cos’è la poesia femminista? È davvero solo poesia marginale, un sottogenere letterario? Oppure è solo l’ultima trovata di editori e giornalisti per far sì che, per una volta, si parli di poesia? Di sicuro, pur non avendo una definizione comunemente accettata, la poesia femminista in Italia ha una storia, scritta dalle persone che ne hanno preso parte e persino da quelle che invece hanno scelto di ignorare il fenomeno o porsi in antitesi ad esso. Questo perché esiste una metodologia critica femminista, dentro e fuori dall’accademia, che si occupa di individuare temi rilevanti al discorso femminista nella poesia di ogni epoca. Per quanto mi riguarda, il lavoro del poeta finisce quando il libro è stampato nero su bianco, anzi, quando anche un singolo testo è divulgato pubblicamente, che sia sui social o durante una serata di letture tra amici. Il resto è legittima autocritica. Non va dimenticato però che la critica è un lavoro di confronto, e dunque qualora si scelga di fare autocritica o critica non si può prescindere dal contesto in cui un’opera si colloca, dall’ambiente che la riceve. Ma ancora: qui si sta parlando di buona e cattiva critica, non di critica femminista, tema sul quale sento di aver concluso, almeno per ora. Alcuni progetti incentrati su un punto di vista femminista sono ad esempio Non solo muse, coordinato da Adele Baldazzi e Roberto Binetti, il collettivo Le Ortique, che si occupa della riscoperta di quelle personalità, artistiche, poetiche e letterarie, spesso schiacciate dalla storia per via del loro genere, la libreria delle donne di Bologna, che da anni ormai promuove iniziative che coinvolgono diverse realtà tra cui quelle citate in precedenza, oltre ad avere una bellissima sede in via San Felice dove si possono trovare una gran quantità di testi critici e filosofici di stampo femminista. Mi sento di citare soltanto le realtà con cui sono venuta in contatto, ma ciò non toglie che tanti autori possano comunque condurre un’operazione critica femminista qualora si tratti anche di approcciarsi a un singolo testo. Credo che in questa cornice più ampia progetti come Costellazione Parallela, pubblicato da Vallecchi (noi), non sono certo casi unici o isolati, ma si inseriscono idealmente in un panorama sempre più ampio, dove la poesia femminista è la poesia che viene interpretata con gli strumenti critici del femminismo.