Luigi Riccio - poesie inedite

Dente che il dente spezza e non rigenera
4 Maggio 2025

 

Dalle poesie tratte dal progetto (ancora inedito) di Luigi Riccio, Ovologio, la prima cosa da capire è che ci si ritrova ad avere a che fare con una ricostruzione: di eventi, possibilità non accadute, ipotesi per un dopo. Per questo motivo quando le si legge la prima percezione è quella di non averle afferrate: perché finiscono quando finiscono? Perché sono iniziate proprio in quel modo? Per entrare in relazione con loro c’è bisogno di accettare da subito la presenza di questa ricostruzione, che procede mostrandoci cose concluse (conchiuse, chiuse con se stesse) e il modo in cui si attirano (come calamite). Invece, la seconda cosa da capire riguarda quello che è successo prima della ricostruzione: gli eventi, le ipotesi e le possibilità di cui parla Riccio sono state sottoposte a una specie di digestione che le ha rese irriconoscibili, ma funzionali. La ricostruzione di queste poesie ricorda il modo in cui i vari “mattoncini” dell’alimentazione (carboidrati, proteine e così via) vengono riassemblati dentro il corpo dopo che quest’ultimo ha distrutto il cibo: masticandolo, incamerandolo, sciogliendolo. È anche per questo motivo che il primo appiglio che queste poesie ci offrono quando vengono lette è proprio quello del cibo: “pane”, “salsa”, “limoni”, “appetito”, “pancia”, “una pappa”, l’uovo che fuso all’orologio (ovologio) dà il titolo alla raccolta. Tutto quello che riguarda il cibo riguarda il potere: togli la vita a qualcosa e te la prendi (per questo Marino nel Canto VIII dell’Adone fa coincidere nel giardino dei sensi il gusto con la poesia satirica, che è il genere di poesia che ha potere sui potenti: il potere è una questione di bocca): nelle poesie di Riccio ogni volta che compare il cibo o qualcosa che ha a che fare con il mangiare viene messo a fuoco questo problema. Prima di rimandare direttamente ai testi ci tengo a sottolineare un’ultima cosa. Il modo in cui Riccio scrive del cibo assomiglia pericolosamente (per davvero pericolosamente) a quello che possiamo leggere in una delle prime opere di Emilio Villa, Oramai. Lasciando da parte che sia Oramai che Ovologio cominciano con la lettera "o" e chiamano in causa il tempo già dal titolo, riporto alcuni esempi “alimentari” di Villa: “di nuovo c’è che tra la polpa e l’osso c’è che fa caldo”; “e noi non per niente dovevamo pensare alla salsa / inglese, alla trota moribonda con gli occhi nel sugo”; "ma le notti fiacche e tremende / che si sentiva piovere latte”; “con la voce corta / mangeremo fettine di vitella congelata”. Teneteli presente quando andate a leggere le poesie di Riccio qui sotto, perché ci aiutano a capire un altro aspetto fondamentale di questa traccia “alimentare”. Oramai viene pubblicato da Villa nel 1947: è un libro della guerra e del dopoguerra, di un tempo in cui il cibo manca e quello che c’è viene sottoposto a razionamenti dall’alto, con appositi organi statali (nell’Italia del fascismo e del dopoguerra il SEPRAL). La situazione si fa pericolosa quando ci rendiamo conto di questa convergenza, e dovremmo quindi chiederci: come mai l’approccio al cibo che troviamo in un libro nato dalla guerra assomiglia così tanto a quello di questi inediti? Cosa ci dice sul tempo in cui sono stati scritti? Perché assomiglia a un tempo di guerra?

 

 

 

Giorni dopo la nicchia che ancora di pane

odora, la fredda

generosità dell’isola, ai viaggiatori

meravigliosi rimane tra le sfoglie questo

strazio di bolle lilla-medicina su

cui srotoliamo la lingua in costrizione nutrendoci

dei limoni quando il fungo li ha presi facendo

sfregio, bruciando. Questo

avanzo mi dà brividi non lo

tocco.

              Ma la salsa che se ne stringe fa la salvezza,

oblio dei nostri resistenti

microbi a mollo nello scolo di sabbie delle

aorte, desiderando un continente: tra le mani

resta svuotato il loro raggio d’osso

bagnatissimo amaro.

 

 

*

 

 

(Si cibano i bimbi dell’ignoto bianco al pelo di

acqua, con le pinze della fame sottile e con la carità

democratica del siero. Si cibano giorni

dopo il giro che ancora abbonda, a tentativi

per festa. Si cibano per sfregamento, per eritema

aperto, per appetito marino, per fotosintesi

attaccata alle coste, per sempre e tutto. Si

cibano a impressione sazia.)

 

 

Questa mattina hai letto di avere confini diversi, uno stormo

dalla tua pelle a mollo. Ti descrivi

come un banco, hai un calore di pancia.

 

 

*

 

 

(Fermenta di tocchi o cola dalle linee il

motivo fondale della piantagione o lo dicono

in allegoria i poteri, per lamine di

oro prima e poi. Tutti si nutriranno buchi

da gravidanza

(dal forno sale). Ala che il dente scoppia, ti diranno

che per pepite di fortuna un coniglio

di carne è, Tu. Ha una digestione per contrappasso

esterna (sarà una pappa, nei nidi, un fiocco

a giri di polpa. Che buona, vola)).

 

 

*

 

 

Ho conoscenza della carcinizzazione dei ventri

delle spigole dorate che finemente troppo

rosa lavorano le corazze. (Ho) conoscenza

(hanno loro filetti rimasti

ciechi. Hanno il dominio storiografico

dell’infettivo) delle graminacee

e di che il pane non forma o di chi si

riduce, fa nodulo,

dente che il dente spezza e non rigenera.

 

 

*

 

 

Ex Ovo II

 

(Ti racconto il sogno di te perché contiene tue parti: avevo

possesso e perdita di queste e non un nome riconoscibile ma

un nome per quelle strade aliene, separati

dopo la cosa, ecco.

                                     Dormire

nei vestiti degli altri, con gli insetti degli altri, accolto

da qualche parte, dovunque, in una luce mangiare, strana,

posposta. Eccoci)

 

 

 

*

 

 

Ex Ovo III

 

Anche sono in comune i nostri cognomi e non è uno sbaglio:

sono sveglio e sono nel mio letto e non sono. Per tre volte,

mi rialzo, tre giorni. Oltre l’angolo,

                                                              ogni

volta, avremo trovato un diverso ricordo: in principio

moltiplicò sé stesso il tesoro chiuso dei pesci, vista mai prima d’ora

l’assurda solidità di tanto argento, l’esatta, e ne divorarono;

ma non si alleva all’aperto, non per possedere.

                                                                                    Oltre l’angolo,

sotto al materasso, il perimetro, quindi,

di una vasca

 

 

(Ma va all’indietro il vagone da me. Ritorno a casa

più ricco di un’agnizione, più pieno, più stanco).

 

 

*

 

 

Leggiamo come mangiando da una sola zucca

in cerchio i tarocchi; la promessa di un corpo

alleato se la faremo. Quest’estate per terra

un fango denso ti ha tolto

appunti, e le cimici fanno i bunker

dappertutto: una casa nuova

cercasi, dunque. Fuori - di chi

indossava le nostre tute - dell’addome

e le spalle avanzano i tagli, hanno fatto acido.

Chiami:

               ci sono stati i passeri.

 

 

Di quanti santi ha bisogno un abitacolo,

e un museo del caldo, di quanta fretta.