
Dalle poesie tratte dal progetto (ancora inedito) di Luigi Riccio, Ovologio, la prima cosa da capire è che ci si ritrova ad avere a che fare con una ricostruzione: di eventi, possibilità non accadute, ipotesi per un dopo. Per questo motivo quando le si legge la prima percezione è quella di non averle afferrate: perché finiscono quando finiscono? Perché sono iniziate proprio in quel modo? Per entrare in relazione con loro c’è bisogno di accettare da subito la presenza di questa ricostruzione, che procede mostrandoci cose concluse (conchiuse, chiuse con se stesse) e il modo in cui si attirano (come calamite). Invece, la seconda cosa da capire riguarda quello che è successo prima della ricostruzione: gli eventi, le ipotesi e le possibilità di cui parla Riccio sono state sottoposte a una specie di digestione che le ha rese irriconoscibili, ma funzionali. La ricostruzione di queste poesie ricorda il modo in cui i vari “mattoncini” dell’alimentazione (carboidrati, proteine e così via) vengono riassemblati dentro il corpo dopo che quest’ultimo ha distrutto il cibo: masticandolo, incamerandolo, sciogliendolo. È anche per questo motivo che il primo appiglio che queste poesie ci offrono quando vengono lette è proprio quello del cibo: “pane”, “salsa”, “limoni”, “appetito”, “pancia”, “una pappa”, l’uovo che fuso all’orologio (ovologio) dà il titolo alla raccolta. Tutto quello che riguarda il cibo riguarda il potere: togli la vita a qualcosa e te la prendi (per questo Marino nel Canto VIII dell’Adone fa coincidere nel giardino dei sensi il gusto con la poesia satirica, che è il genere di poesia che ha potere sui potenti: il potere è una questione di bocca): nelle poesie di Riccio ogni volta che compare il cibo o qualcosa che ha a che fare con il mangiare viene messo a fuoco questo problema. Prima di rimandare direttamente ai testi ci tengo a sottolineare un’ultima cosa. Il modo in cui Riccio scrive del cibo assomiglia pericolosamente (per davvero pericolosamente) a quello che possiamo leggere in una delle prime opere di Emilio Villa, Oramai. Lasciando da parte che sia Oramai che Ovologio cominciano con la lettera "o" e chiamano in causa il tempo già dal titolo, riporto alcuni esempi “alimentari” di Villa: “di nuovo c’è che tra la polpa e l’osso c’è che fa caldo”; “e noi non per niente dovevamo pensare alla salsa / inglese, alla trota moribonda con gli occhi nel sugo”; "ma le notti fiacche e tremende / che si sentiva piovere latte”; “con la voce corta / mangeremo fettine di vitella congelata”. Teneteli presente quando andate a leggere le poesie di Riccio qui sotto, perché ci aiutano a capire un altro aspetto fondamentale di questa traccia “alimentare”. Oramai viene pubblicato da Villa nel 1947: è un libro della guerra e del dopoguerra, di un tempo in cui il cibo manca e quello che c’è viene sottoposto a razionamenti dall’alto, con appositi organi statali (nell’Italia del fascismo e del dopoguerra il SEPRAL). La situazione si fa pericolosa quando ci rendiamo conto di questa convergenza, e dovremmo quindi chiederci: come mai l’approccio al cibo che troviamo in un libro nato dalla guerra assomiglia così tanto a quello di questi inediti? Cosa ci dice sul tempo in cui sono stati scritti? Perché assomiglia a un tempo di guerra?
Giorni dopo la nicchia che ancora di pane
odora, la fredda
generosità dell’isola, ai viaggiatori
meravigliosi rimane tra le sfoglie questo
strazio di bolle lilla-medicina su
cui srotoliamo la lingua in costrizione nutrendoci
dei limoni quando il fungo li ha presi facendo
sfregio, bruciando. Questo
avanzo mi dà brividi non lo
tocco.
Ma la salsa che se ne stringe fa la salvezza,
oblio dei nostri resistenti
microbi a mollo nello scolo di sabbie delle
aorte, desiderando un continente: tra le mani
resta svuotato il loro raggio d’osso
bagnatissimo amaro.
*
(Si cibano i bimbi dell’ignoto bianco al pelo di
acqua, con le pinze della fame sottile e con la carità
democratica del siero. Si cibano giorni
dopo il giro che ancora abbonda, a tentativi
per festa. Si cibano per sfregamento, per eritema
aperto, per appetito marino, per fotosintesi
attaccata alle coste, per sempre e tutto. Si
cibano a impressione sazia.)
Questa mattina hai letto di avere confini diversi, uno stormo
dalla tua pelle a mollo. Ti descrivi
come un banco, hai un calore di pancia.
*
(Fermenta di tocchi o cola dalle linee il
motivo fondale della piantagione o lo dicono
in allegoria i poteri, per lamine di
oro prima e poi. Tutti si nutriranno buchi
da gravidanza
(dal forno sale). Ala che il dente scoppia, ti diranno
che per pepite di fortuna un coniglio
di carne è, Tu. Ha una digestione per contrappasso
esterna (sarà una pappa, nei nidi, un fiocco
a giri di polpa. Che buona, vola)).
*
Ho conoscenza della carcinizzazione dei ventri
delle spigole dorate che finemente troppo
rosa lavorano le corazze. (Ho) conoscenza
(hanno loro filetti rimasti
ciechi. Hanno il dominio storiografico
dell’infettivo) delle graminacee
e di che il pane non forma o di chi si
riduce, fa nodulo,
dente che il dente spezza e non rigenera.
*
Ex Ovo II
(Ti racconto il sogno di te perché contiene tue parti: avevo
possesso e perdita di queste e non un nome riconoscibile ma
un nome per quelle strade aliene, separati
dopo la cosa, ecco.
Dormire
nei vestiti degli altri, con gli insetti degli altri, accolto
da qualche parte, dovunque, in una luce mangiare, strana,
posposta. Eccoci)
*
Ex Ovo III
Anche sono in comune i nostri cognomi e non è uno sbaglio:
sono sveglio e sono nel mio letto e non sono. Per tre volte,
mi rialzo, tre giorni. Oltre l’angolo,
ogni
volta, avremo trovato un diverso ricordo: in principio
moltiplicò sé stesso il tesoro chiuso dei pesci, vista mai prima d’ora
l’assurda solidità di tanto argento, l’esatta, e ne divorarono;
ma non si alleva all’aperto, non per possedere.
Oltre l’angolo,
sotto al materasso, il perimetro, quindi,
di una vasca
(Ma va all’indietro il vagone da me. Ritorno a casa
più ricco di un’agnizione, più pieno, più stanco).
*
Leggiamo come mangiando da una sola zucca
in cerchio i tarocchi; la promessa di un corpo
alleato se la faremo. Quest’estate per terra
un fango denso ti ha tolto
appunti, e le cimici fanno i bunker
dappertutto: una casa nuova
cercasi, dunque. Fuori - di chi
indossava le nostre tute - dell’addome
e le spalle avanzano i tagli, hanno fatto acido.
Chiami:
ci sono stati i passeri.
Di quanti santi ha bisogno un abitacolo,
e un museo del caldo, di quanta fretta.