Vanessa Nurra - poesie inedite

Fuori misura
23 Maggio 2024

 

 

La poesia di Vanessa Nurra lascia disorientati, ma non è mai "oscura": si fa decifrare chiamando il lettore a rispondere a un immaginario perturbante. Così spinge la rappresentazione fantastica al proprio limite, facendo emergere da un lato alcune criticità del linguaggio poetico, dall'altro la sua elasticità. Anche se si parla di "reliquia" e di "gloria eterna" ([...] il timore di Dio è sconosciuto, / dietro il tuo letto anche il figlio si nasconde: / prende posto il numero 8 da centrocampista), nell'immaginario di Vanessa Nurra il sacro non è solo il sacro, ma comprende al suo interno una moltitudine di temi originali e, per quello che può valere, incredibilmente attuali. Innanzitutto, Nurra racconta un trauma di natura psichica (come appare evidente in Ripetizioni di violenza): per questo, nel contesto della sua poesia, il linguaggio sacro diventa emblema di un'eredità. Se si pensa alle parole delle preghiere non è difficile notare che sono quasi sempre simili, e che le preghiere più note della liturgia cristiana accompagnano dal battesimo al matrimonio al funerale, come un dato che attesti l'unione e la separazione, l'entrata e l'uscita da una vita a un'altra. Parlando di transizioni, o piuttosto di stare in una transizione, il secondo macrotema presente nella poesia di Nurra è quello dell'identità di genere: l'autore alterna pronomi maschili e femminili in riferimento allo stesso soggetto, creando inizialmente un senso di straniamento nel lettore, che tuttavia ha la possibilità di ricontestualizzare questa necessità linguistica grazie al componimento intitolato Giovanna D'Arco (che andrebbe letto in parallelo al testo di Spaziani incentrato sempre su questa pulzella d'Orléans per coglierne assonanze e dissonanze, produzioni di senso). La figura della santa infatti comprende in sé anche il "padre" e la "patria", evidenziando un aspetto della mistica sconosciuto ai più: la riconciliazione di maschile e femminile, che avviene nel trascendimento degli attributi della sostanza (Spinoza, sì, ma anche il D'Aquino che non si studia). Sopravvissuti a qui e ora troppo stretti / siamo in ritardo nella contingenza dei ruoli: la forma è "mutante", ma sempre fuori dai termini di misura non tanto della materia, ma del linguaggio tout court. Nonostante le limitazioni spaziali e temporali che la lingua impone, la figura protagonista del componimento, dopo essersi schiacciata, si arma tagliando i capelli prato all’inglese e riconosce la sua presenza nell'intermittenza. La transizione quindi, nella poesia di Nurra, diventa un luogo senza confini e non un percorso, dando una rappresentazione del genere diversa da quella a cui siamo abituati. Ci rincontreremo quando l’appartenenza temporale/ sarà fuori dalle nostre misure, tanto da contare / insieme quante stelle ci siamo costruiti.

 

 

 

FUORI MISURA

 

Sopravvissuti a qui e ora troppo stretti

siamo in ritardo nella contingenza dei ruoli.

Nell'attesa cresciamo di anni luce,

ti vedo penetrare ogni prossimo cielo:

fai breccia nell’iride, dove è impressa la tua forma

mutante a seconda di come ti schiacci nell'ombra.

Ci perdiamo nel buio, ma ti armi

tagliando i capelli prato all’inglese 

cercandomi lucciole dormienti tra ipotalamo e cute.

Si accendono come lampadine a led, scariche

che so dovremmo cambiare, ma è difficile

lasciare quel che resta degli ultimi bagliori

per inizi troppo accesi, sbirciati dalle tue 32 serrature.

Piano piano si spengono le possibilità remote 

che esplodono in risate, poi raccogliamo in brandelli

con la nostra presenza intermittente.

 

Ci rincontreremo quando l’appartenenza temporale 

sarà fuori dalle nostre misure, tanto da contare

insieme quante stelle ci siamo costruiti. 

 

 

 

GIOVANNA D'ARCO

 

Le pupille semiaperte cercano nella stanza

di gigli bianchi, fanno paura con le bocche larghe

i pistilli che puntano il dito verso il capolinea. 

Avere fame era atto d’amore, ma il sapore ferroso

impasta la flebo zuccherina e non attira colibrì.

Le ossa sono frasche per il rogo, i camici ronzano

attorno agli ultimi sospiri. Alimenti il fuoco col soffietto

che la grazia ha incastrato nella gola, arma da crociate. 

La reliquia del tuo sangue denso non la voglio ereditare

se è il peccato che si ferma nella nuca scottando

anche i figli che curano ferite con l’acqua dei fiori.

 

Michele, Margherita, pure chi ti ha concepito

nega la gloria eterna, trofeo dell’abbandono.

Morirai giovane se ti sfugge la purezza d’animo

si ripete in cantilena quando dici chi è passato non ti vuole

ancora a fianco. Nel dubbio resta, indegno o impreparato.

Ma il timore di Dio è sconosciuto, dietro 

il tuo letto anche il figlio si nasconde:

prende posto il numero 8 da centrocampista, 

che sei sempre stato, Giovanna, padre.

Corri a stento tra le fiamme dove ha inizio la partita.

 

 

 

 

RIPETIZIONI DI VIOLENZA

 

Ripeti dopo di me: la lingua non si scioglie 

il nodo blocca i pensieri e andiamo a tentoni.

Ho chiara solo l’immagine di come ti strozzerei 

con tutte le parole che provi a farmi ingoiare.

Le tasti che mi sono indigeste, ti arrabbi

perché vomito grilli che mi tengono sveglio la notte.

 

Sei sempre incastrata in conversazioni non autorizzate

l’unica parte interessante è quando parli dei tuoi cani, 

bestie languenti come me, che fiutano rancore:

ti sbraneremmo come solo i sanguinari sanno fare. 

Sciupi l’amore come le madri, lo vedo che ti piace

raccattare la violenza è il tuo lavoro.

Ho avuto compassione delle tue creature, 

hai capito che non vale la pena ammaestrarci.

Ci odiamo tanto da parlare anche a gesti. 

 

 

 

 

LA CASA ALLAGATA

(due prospettive)

 

I

 

Alla casa che conoscevo 

piacevano le stasi, 

educando – con i piedi 

immersi negli stagni idrocefali –

ad aspettare che la pelle

si arruginisse prima del tempo.

Ma l’acqua fredda stride 

sui corpi vivi, bisognava

immergere anche la testa

per sentire quanto è brava

l’orchestra sul fondale.

Le pause musicali riempivano

gli ultimi fiati dei tromboni:

solo allora il velo divisorio

coglieva al volo il ciuffo

che faceva radice di loto.

Ascolta ancora il suono trovato 

in un bicchiere d'acqua. 

 

II

 

Nella sete c’era un pelo 

diventato poi animale quando

ha sentito la stessa melodia 

a fiato nello sterno tachicardico:

lo portava a inseguire la sua coda, 

monte bianco di paura, sciolto

in carezza su una macchia.

I pavimenti si annacquavano 

e stava alla deriva, aspettando

che le maree si abbassassero

per vedere faccia faccia

giorni conservati come il sale

da spargere in acquitrini 

e credersi in spiaggia

 

 

 

 

 

 

 

Vanessa Nurra è nato 2003 a Borore, in provincia di Nuoro. Attualmente è iscritta a Bologna alla facoltà di Lettere moderne e partecipa alle attività del Centro di poesia contemporanea dell'Università di Bologna.