Con parole remote

Giancarlo Pontiggia - poesie
19 Maggio 2024

 

Dalla commento dell'autore alla nuova edizione

 

Con parole remote mi apparve subito come un libro nato dal silenzio, nel silenzio. Qualcuno - ed ero io, ma poteva essere chiunque -, dopo aver fatto esperienza della contemporaneità, si era dunque "nascosto" in un giardino di aranci e di pensieri, e aveva ripensato la poesia partendo da più lontano, dalle origini, dialogando intimamente, e in un'altra lingua, con quelle origini stesse. Non sapeva ancora cosa avrebbe trovato. A dire il vero non sapeva nean-che, in quel momento, di stare cercando qualcosa.
Ritrovavo a poco a poco suoni, armonie che mi erano parsi fino a quel momento perduti; e la felicità di poter sostare su una parola, di muovermi tra un verso e l'altro come uno che cammini, e scopra lentamente, dopo una curva, un nuovo paesaggio, una nuova forma del respiro. Celare, serbare, custodire, restare «nella polvere di un noto // confine»: questo mi appariva il compito della poesia, cui guardavo nell'umiltà di un pensiero che si riconosceva più nei poe-tae novelli o in tarde figure come Naucellio piuttosto che nei poeti aurei di età augustea, comunque presenti.
L'ambientazione tutta naturalistica, e insieme simbolica, del libro che si andava a poco a poco delineando man mano che lo scoprivo, richiamava l'utopia di Assunto: ma al fondo dei versi, o sarebbe meglio dire dei fondamenti immaginativi sui quali essi poggiavano, era tutto quel paganesimo rustico - di Lares, genii, di patrii, Ambarvalia - che aveva trovato il suo poeta maggiore in Tibullo.
Agiva insomma un'utopia del cuore, mentre scrivevo questo mio libro, un culto restaurato dell'interiorità come valore assoluto, civile, una forma di resistenza ai miti negativi del Novecento, che non era un ritrarsi in nostalgie regressive. Semmai proprio il contrario: la forma del giardino epicureo, non come luogo dottrinale ma utopico, rappresentava ai miei occhi la conquista di uno spazio difeso dalla brutalità dei tempi, e dal male che è connaturato all'animo umano: un luogo dove la delicatezza dei nostri pensieri più nascosti non escludeva l'idea di una convivenza civile, di un'etica del vivere comune.

 

 

CANTO DI EVOCAZIONE

 

Vieni ombra/ ombra vieni/ ombra ombra 
vieni oh vieni, buia 
sali tra i gradini, nel tempo

 

Vienimi vieni vieni/ vienimi vieni vieni 
con ogni doglia, con tutte le furie 
con ciò che nell'ombra si sfoglia 
con quel che nell'ombra spuma

 

Ombra vieni/ ombra ombra/ vieni ombra
nel vento nel vento 
nel greve tormento
vieni oh vieni tra i numeri, nel fuoco
diventa canto roco

 

Vieni oh vieni/ vieni oh vieni
tra le forme del caso,
vieni, batti
contro gli spigoli, scendi 
obliosa su ciò che è stato, 
diventa nostro fiato

 

Ombra resta/ resta ombra/ resta resta
nella cupa fronda
nella sola testa 
che geme che geme 
tra i rametti del caso 
nel cuore, nel seme invaso 
vieni, oh vieni/ vieni, oh vieni

 

(ripetuto)

 

 

ANCORA TI CUOCE LA POLVEROSA

 

Ancora ti cuoce la polverosa

estate del sessantuno, quando 
le mattine si disfano con il sole 
già grande, cresce il meriggio cieco, e 
più buie ombre declinano sul mondo

 

nel quale ci sei tu, accanto a un tronco
smangiato dalla folgore crudele 
e un senso profondo di morte 
lucente com'è solo la vita

 

che si scioglie a poco a poco 
in un alveare di anni forse più ansioso
consumati tra strade di città

 

grandi, troppo grandi per te, 
rimasto sospeso fra 

 

due tempi che non si uniscono 

 

non possono, e anzi si dividono 
tesi in un tenue elastico

 

che si allunga, si allunga
fragile corda ormai
di un pensiero non mai mutato

 

mentre il vento già discende 
sull'antico ballast, in un tardo 
pomeriggio di suoni festivi di 
agosto rosso e assoluto

 

che ancora erompe in forme estreme,
in fronde
oscuramente stormenti
fra le paglie del sonno leggero 
su un lino di azzurro ancora teso

 

 

 

IN QUELLA OSCURA CAVERNA

 

 

 1

Quello che chiudendo gli occhi vedete 
è il vostro buio, soffiato 
in uno scrigno di cielo intatto 
che il sonno salendo allaga 
come un fiume ombroso 
fino agli orli della mente che si perde 
a poco a poco

 

2
...
cosi che ti inoltri in un sentiero 
erboso e scuro
in un mattino di sole di primo
giugno
del 1961
con pensieri lontani, con robinie 
verdissime, e porte 
che si aprono

 

3
quando il meriggio
porta polvere e ronzii,
anfore
dove il sole annotta 
caldo, brulicante, voi 
sentite ciò che era 
ciò che folgorante
esiste

 

4

giunge come una domanda
il vostro sussurrare
tra gli spigoli di una stanza
più che ombrosa,
in una cella

 

5
in quella oscura caverna

 

6
e si ritorna

 

7
perché non sappiamo altro che questo 
non ricordiamo altro 
che questo correre correre del sangue
improvviso, in un giorno 
che si profila remoto, 
come il suo modello, troppo inaccessibile...