Mattia Tarantino

Come ti giustifichi?
15 Maggio 2024

 

[..] dicevano: come ti giustifichi? // dicevano: ma ti giustifichi, tu?

 

Lo scriveva Sanguineti. Che sia corretto o meno, spesso si è chiamati a giustificare la propria poetica. Accade di sicuro alla nostra generazione e a quella immediatamente precedente: sui social siamo continuamente messi nella condizione di doverci giustificare davanti a un pubblico, per quanto ristretto, e non solo quando si tratta di poesia. Abbiamo deciso quindi di creare uno spazio che dia a poet* nati dalla fine degli anni '80 agli anni 2000 la possibilità di legittimarsi. Benché le domande di partenza siano le stesse per tutt*, abbiamo scelto di tenere aperta la possibilità di un dialogo con chi prenderà parte a quest'iniziativa, ricollegandoci alle risposte date, per portare avanti un’operazione volta al dispiegamento della poetica individuale e collettiva in una chiave di autocritica.

 

 

Mattia Tarantino (Napoli, 2001) codirige Inverso – Giornale di poesia e fa parte della redazione di Atelier. Collabora con numerose riviste, in Italia e all’estero, tra cui Buenos Aires Poetry. Per i suoi versi, tradotti in più di dieci lingue, ha vinto diversi premi. Ha pubblicato L’età dell’uva (2021), Fiori estinti (2019), Tra l’angelo e la sillaba (2017); tradotto Verso Carcassonne (2022) e Poema della fine (2020).

 

 

Partiamo con un pezzo facile, più o meno: definisci la tua poetica. In altre parole, quando scrivi poesia, perché scrivi in questo modo e non in un altro? Cosa pensi che renda la tua poesia tua?

 

M.T. Associazioni, circuiti, blackout. Le impostazioni dei frammenti (come ti vai a capo nei pensieri?), il linguaggio come una pappetta, una poltiglia, cosa anticipa la cesura e cosa invece la sospende. A qualcuno hanno detto tarantiniano, ma non a me, non più o non ancora. È divertente.

 

 

 

Poesia lirica e poesia di ricerca sembrano essere argomenti ancora caldi, come se un poeta “lirico” o presunto tale non potesse portare avanti un lavoro di ricerca letteraria. Crediamo infatti che il termine ricerca possa essere utilizzato in modo più ampio rispetto a quello a cui siamo abituati, e che ogni poeta porti avanti una sua personale ricerca. Che cos’è per te la ricerca? Senti di star intraprendendo un percorso di ricerca letteraria con la tua poesia?

 

M.T. Le riflessioni su lirica e ricerca sono poco interessanti. Andiamo avanti.*

 

*Esercitare altre connessioni, pressioni, riconoscere o innescare intensità da dislocare e riattivare, è questo che fanno i poeti, mi sembra, la vita – lo sguardo - che scelgono di intraprendere.

 

 

 

Si parla altrettanto spesso di padri, di maestri, e per fortuna adesso anche di madri, che si tratti di ucciderli o di inserirsi nel solco che hanno lasciato. Senza essere pedanti, senti presente nella tua poetica l’influsso di specifici autori e autrici di passate generazioni? Che cosa bisogna farne di loro?

 

M.T. Una ritmica del flusso e del riflusso. Cosa scorre nella lingua? Comunque, non sono sicuro ci siano delle generazioni, ma villaggi ventosi, questo sì, monolocali, i nomi dei bar, i fascisti in città. Qualcuno che ci preme la lingua mentre scorre resta sempre – ma come un calcolo, uno scarto, un’infezione, alle volte benevola, magari. 

 

 

 

Maestri a parte, in questa sede vorremmo approfondire questioni legate all’intermedialità, particolarmente rilevante quando si prende in esame la poetica di autori delle ultime generazioni. Ti chiederemmo quindi di raccontarci cosa ha dato forma al tuo immaginario poetico, al di là della poesia (parliamo quindi di opere di narrativa, saggistica, ma anche di film, serie tv, anime, fumetti, videogiochi etc.), e quale rapporto intrattiene la tua poesia con altri media narrativi.

 

  M.T. Certi poeti, le mani di nonna, l’ex SS162NC, Shostakovich e Twin Peaks, tutto sta alla trama (aracnofobico, da sempre).

 

 

 

L’accusa di fare una poesia disonesta viene spesso mossa ancora oggi, benché la distinzione tra poesia onesta e poesia disonesta possa correre il rischio di suonare po’ antiquata (ne parlava già Umberto Saba nel 1911, più di un secolo fa). Ci sarebbe da capire che cos’è oggi questa onestà. Ti ritieni un poeta onesto? Pensi sia importante essere tale?

 

M.T. Questa storia dell’onestà mi sembra da carabinieri. 

 

 

 

Tornando alle domande brevi, ma forse più difficili: perché scrivi poesia? Difficilmente lo si fa per ottenere un guadagno economico. La narrativa poi sembra avere un pubblico più vasto, per non parlare della scrittura cinematografica. Quindi: perché hai scelto proprio di servirti del medium poetico?

 

M.T. Il linguaggio era quel che mi permetteva di mettere distanza tra me e gli altri, di non assomigliare a chi avevo attorno (le scuole medie), di distribuire le chiavi e indicare gli accessi, serrarli, di cifrare o far saltare le ragioni, negoziare l’esistenza, un po’ di spazio.

 

 

 

Un’ultima domanda a bruciapelo: una poesia che vorresti aver scritto tu, o che potresti aver scritto tu.

 

M.T. Una poesia che sono felice qualcuno abbia scritto, Giuliano Mesa (Poesie 1973 – 2008, La camera verde 2010)

 

 

(di una vita non rimane quasi niente

e quello che rimane, spesso, non è vero)

(prendi a misura, adesso, com’è il rumore,

fuori, della notte)

 

 

(di più falso non c’è nulla

che il voler dire il vero)

(è vero questo approssimarsi.

è vero che a qualcosa, sempre,

noi ci approssimiamo

- anzi, ci avviciniamo,

che suona meglio,

ed è meglio di niente)

 

 

Se dovessi invece scegliere una sola poesia per rappresentare la tua poetica, quale sarebbe?

 

M.T. «Bruciasse l’alfabeto rimarrebbero / intatti i segni del tuo nome» (L’età dell’uva, Perrone 2021)

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto di Dino Ignani