DA "PÓŁNOC PRZYPOWIEŚCI (NORD PARABOLE), ZNAK, 2019
SIMONE WEIL
A volte immagino
che Simone Weil abiti
nel palazzo dietro l'angolo.
Di notte ascolta Erbarme dich
a voce bassa, per non svegliare
i vicini stanchi.
Lei stessa dorme poco, ha in fondo
molti doveri. Lavora nel vicino
ospedale psichiatrico. Accarezza
dei pazienti i pensieri e li legge
a voce alta, affinché sappiano che
ancora esistono. La verdura la compra
in piazza. Non mangia pesci,
tanto non possono lamentarsi.
I libri li compra su internet.
I frammenti più belli
li impara a memoria. Con vivo
interesse continuamente legge
Platone; in cose più nuove non
si addentra. In casa oltre la scrivania,
ha una sedia e una lampada. I libri
Ii rende poi alla locale
biblioteca. Non porta lenti
a contatto. Gli occhiali
sono come tra l'occhio
e il mondo. Mangia sempre troppo poco
e continuamente muore
d'amore.
Traduzione di Paulina Malicka e Lucia Pascale
CARILLON
C'era la guerra nelle selvagge estremità della terra,
la guardavamo dalle poltrone, che con la perizia
dei maestri del massaggio orientale, accoglievano
tenere le stanche schiene.
Gli aerei volavano bassi, non cantavano gli uccelli.
Le nuvole roteavano come la ballerina
del carillon di porcellana, fino a
diradarsi nel celeste nulla.
I tiranni erano molto maleducati,
non ascoltavano i nostri saggi ordini
di andare a dormire presto. Sognavano
la terra incognita ad occhi aperti.
Guardavamo la guerra dalla distanza ottimale
come in una palla magica, da questa prospettiva
si vede meglio, basta scuotere forte
e cade la neve.
DA "MORZE NOCĄ JEST MIĘŚNIEM SERCA" (IL MARE DI NOTTE È UN MUSCOLO DEL CUORE), PIW, 2022
PS.
Per Adam Zagajewski, in memoriam
Il mondo, Adam, è a volte irridente,
ha occhi di capriolo, specchi veneziani, un mare nero.
Mille luci dall'altra sponda trasmettono un messaggio
segreto, che dice: "non essere mai
solo, essere umano", cioè "dimenticati di
te stesso". Il mondo ha baluginanti intervalli di bellezza,
che estraevi, coglievi per noi come dal fondo del mare
i pescatori di perle. Ma non è tutto,
vocavi subito, c'è ancora la melma, le alghe,
la tenebra e la paura. Ricordo come non
volevi andare in autunno a Chicago,
non c'è storia, lì, l'imputridito dermoide delle cattedrali,
c'era solo il sogno dell'Europa, che si
contraeva come l'uva passa. Leopoli si
trasformava in un punto visibile solo al
microscopio. E tuttavia continuava a pulsare
come il segno dello spazio sullo schermo. Leopoli
era il tuo orologio da polso, orologio che marciava
all'indietro.
Ci conoscemmo in un caffè, ovvero
stemmo seduti in silenzio per un'ora intera,
dopodiché t' invitammo a casa nostra, al che rispondesti:
Nonostante tutto?
Ci sono tante ore e tanto ardore di braci
che bisogna tenere in serbo
come il tè sullo scaffale nello studio
di via Pawlikowski. Le sue ali verdi
di pensieri dormienti sbocciavano piano
nell'acqua bollente. Leggevamo una poesia
di Gottfried Benn, medico di malattie
della pelle e dell'amore o anche di complicazioni
a lui connesse. Ci attorniavano
cariatidi di libri che sorreggevano
l'aria, sfrecciava fra di loro
una gattina, piccola spia a conoscenza degli itinerari
dei passeri nel giardino. Nell'ambiente entrava una luce
pallida come i volti dei santi nei quadri
di El Greco. L'ultima poesia di Benn,
la scrisse poco prima della morte nel 1956.
La leggesti prima in tedesco,
poi io in traduzione. Non riuscivamo
a capire, volevamo capire,
schlafe ein! addormèntati!, scrive alla fine.
traduzione di Marco Bruno
CHIAROSCURO. FLATFORD MILL
Si trattava solo di questo, Maria, in ogni libro
riconoscere il paesaggio della propria coscienza:
la corteccia crepata del frassino, la dolce mora, la pietra
muscosa, la strada in salita, il fango e il cielo, che
domina su tutto.
Solo questo volevo dirti nella lingua
del vento, descrivere la storia delle nuvole, la profezia
nascosta nel mio passato: la casa sul fiume,
il ponte di legno, il vecchio barcone con cui trasportano
orzo e segale.
Non ho potuto far niente di più che provare
a mostrare la verità, e non è un'arte facile da apprendere:
la luce sul fiume che ti porta via, l'acqua
cosi morbida, i rami si immergono
nella profondità dell'ombra.
traduzione di Giovanni Agnolon
RUTH
Ruth Maier, che proveniva da una famiglia ebraica laica di Vienna, fuggì in Norvegia nel 1939, prima della guerra. Venne arrestata il 26 novembre del 1942 e lo stesso giorno fu deportata sull'SS Donau. Non appena arrivata ad Auschwitz, il 1 dicembre del 1942, fu portata direttamente in una camera a gas.Visse ventidue anni.
Dalle finestre non si vedeva il bosco
con i sentieri che si intrecciavano
come narrazioni, in una c'è ancora
la guerra, gli ebrei di Vienna che si rifugiano
nell'Europa del Nord. Ruth Maier,
a differenza della sua famiglia, viene accolta
dall'ingegnere Strøm di Oslo, e la condanna le viene sospesa,
per qualche anno la guerra scompare, come in teatro dietro alle quinte
Ruth tiene un diario, Vorrei essere famosa!
e legge
legge moltissimo, Shakespeare, Le mille e una notte,
conosce Gunvor Hofmo, poetessa,
d'estate va con lei al nord, e là conosce
l'altro lato del tempo, la fodera d'estate
vanno al lago a fare il bagno
i corpi nudi e le piume del bosco
mai eran stati così dolci i lamponi
l'estate si fa autunno
la nave Donau si porta via Ruth
i capelli color del granito si fanno
granito
il fiordo apre la bocca e la inghiotte come Giona
Gunvor se ne rimane a riva ad aspettare Ruth
sempre, ogni giorno, nelle vie di Parigi, perché vuole
capire cos'è ch'è diverso
la vedo sempre, sprofonda in fondo alla poltrona
quand'è alla fine della vita, dei suoi decenni. È buio ormai
ritorno, all'ottavo piano a casa degli amici
ecco che trovo un album di Bach: The Best Of
Ich hatte viel Bekümmernis mi dice
la cantata, dalla finestra non si vede
niente, ma mi ricordo
lo spirito del bosco
TIZIANO TERZANI SCRIVE UNA LETTERA
Me ne vado che fa ancora buio. Lascio gli alberi
dietro la finestra, a proteggerti, con le loro foglie grosse e gli occhi
spalancati. Vado su, dove il rivolo della mia
vita scorre in giù, dall'altra parte.
Lo sento il suo dolce fruscio. Il mio cuore è un levriero
che ti caccia le storie in gola, e lo khmer rosso
dissoda il bosco di tutte quelle mani umane. No,
non dire che è tardi ormai, grazie, che della nostra storia
sei stata testimone. E così non smetto di scriverti una lettera,
o forse invece è un libro. E poi, quando avrò finito,
l'introduzione la scriverai tu.
TIRESIA CERCA UN ASSISTENTE
Se non c'è scampo, ha chiesto Odisseo,
io perderò l'amore? È brutto soli,
è un paradiso l'isola coi frutti
che scoppiano di succo. Dice no
Tiresia, invecchia Calipso, non posso
impicciarti, che sei sempre in viaggio,
ritornatene a casa che c'è lei,
guardate il mare, che poi è sempre quello.
Ma la mia casa e la mia narrazione
dice Odisseo mentre saluta i cani
guida di Tiresia, che vuol sapere
come finisce la sua storia. È a riva
Odisseo, è buio ormai e c'è la luna
che è un punto e virgola; ora vediamo.
Traduzione di Alessandro Achilli
ASCOLTANDO SU ZOOM IYA KIVA LEGGERE UNA POESIA SULLA GUERRA
leri abbiamo ascoltato su Zoom Iya Kiva
leggere una poesia da Kiev, là dove le berrette
dorate delle chiese ortodosse non si sono nascoste nei rifugi,
abbiamo ascoltato, ognuno nel proprio
appartamento, quasi ognuno, abbiamo ascoltato,
eravamo solo occhi, come se non avessimo
nient altro, solo occhi, come se volessimo
proteggere lya con gli occhi, ne assorbivamo
ogni parola, intanto sullo sfondo Babij Jar bruciava,
la memoria però non brucia, confidiamo, la memoria è inossidabile,
la memoria aspetterà come una talpa, ibernata,
tutti volevamo, in mille su Zoom,
in duemila occhi, reggere su lya
un ombrello d'aria,
scudo del nostro guardare,
quando ha finito di leggere, ho alzato la testa
sul tavolo ad attendermi un libro della biblioteca
La tentation d'exister di Cioran
le colline tenevano Bergen sulle ginocchia,
sono fioriti i primi crocus, tutti
gioivano della primavera.
traduzione di Lucia Pascale