Nella poesia di Imperatrice Bruno un immaginario conturbante e onirico diventa metafora, mai troppo velata, di una condizione creaturale in cui l'autrice si trova immersa. Benché le figure che troviamo nei testi di Bruno non manchino di delicatezza, c'è un aspetto lugubre della sua lingua che non può essere ignorato. Innanzitutto, il corpo viene scomposto in singole parti che emergono distorte da uno scenario surreale, un po' come in certi racconti di Anaïs Nin. Il carattere della sua poesia è marcatamente erotico - termine non da intendersi nella sua accezione più convenzionale, ma nello stesso modo in cui Bataille parlava di erotismo: cannibalico, allucinante, bizzarro. Allo stesso modo, anche la presenza degli animali può essere interpretata in chiave weird: le fanciulle di Imperatrice Bruno sono infatti rane lunghe e gialle, creature terrestri a cui non serve metamorfosi, sono già di natura molteplice, mai del tutto umana e mai del tutto bestiale. Imperatrice Bruno plasma il suo immaginario su un retroterra folkloristico, e a tratti gotico, affatto scontato: così il tema della magia, o per meglio dire della premonizione (basti pensare alla figura della chiromante) viene integrato in una lirica che si appoggia a un aspetto della cultura italiana troppo spesso trascurato. Nel 1959 l'antropologo Ernesto de Martino pubblica Sud e Magia, testo capitale in cui sviscera il sostrato pagano ancora oggi presente nella cultura del sud Italia, dove tradizioni precedenti sono state incorporate al rito cattolico. Ma se per De Martino la magia ha due funzioni (quella di eliminare ciò che è negativo e quella di proteggere dallo smarrimento), per Imperatrice Bruno il rituale magico non consiste in un momento critico in cui la vita ordinaria subisce una sospensione per far posto a quella soprannaturale (per parafrasare Eliade ne Il sacro e il profano), ma penetra nella quotidianità, anche quando la poetessa scrive da una torrida Milano. Le icone di San Michele coesistono con figure animali simboliche, come vacche nere che producono latte bianco, volpi e mantidi morenti - tutte rappresentazioni di qualcosa di profondo e invisibile, ma non dimenticato.
*
Sono nata per avere così tanto:
la mancanza di paura di mio padre,
un giardino con dei gigli e tre bambini in cerchio,
per giungere al torrente per prima
aspettare che si riempia
e raccontare a tutti la sete.
*
Ho visto tanti giorni iniziare
e tante volpi morire
e bellissime donne accontentarsi
d'essere il segreto di un uomo:
il giorno iniziava anche quando
il sesso sbatteva ancora alle finestre,
bisognava
legarlo e nasconderlo,
asciugarsi il sudore e mettere
il fiocco nero in petto.
Non lo avrebbero permesso,
avrebbero preso i bimbi nella pancia
disperso il seme, cucito le gambe.
Eppure, non c'era paura nel mio sangue
mi diceva il dottore-
piangevamo da grandi solo l'aver perso
di notte e di giorno il tenero
cacciare lucciole e lucertole.
*
La chiromante mi ha detto di marzo,
marzo ti sarà propizio: ora sono un osso
da me i credo cresceranno forti e poi me ne servirò,
prima l'uno, poi l'altro
poi saprò vedere e non vedere,
tutti sapranno far lacrimare i chiodi
Marzo sarà il ritorno della gente di mare,
si alzeranno i toni con Atlantide in bocca,
si chiederà dei poeti delle notti nei porti;
i poeti nascono nei porti, portano alle labbra
labbra di dolore, mani bagnate,
portano agli occhi tavole dure,
hanno la lingua bruciata.
Marzo sarà delle fanciulle rane lunghe e gialle,
mi ha detto marzo ti sarà propizio: come cani ora
col muso a terra, la nuca di chi ci è davanti come unica
cosa umana a guardare il cielo
e cielo a ricordare nella bianca tenerezza.
Marzo sarà una tiepida carezza,
stenderà spine e scapole, sarà propizio:
avremo tutti l'olio buono sulla fronte.
*
C'è un grandissimo silenzio,
c'è la casa di un poeta diventata desolata,
le arance sono bellissime nella cassetta blu:
questa è la pietra di terra oltre
la luce che io dico, la cosa irremovibile,
l'isola sacra entro la quale
non si può né nascere né morire.
C'è una ragazza con gli occhi larghi,
c'è la casa di un poeta isolato,
l'acacia di Costantinopoli è sfiorita:
è leggerissimo il gene
di tutte le tristezze- condiviso
in ogni sveglia imposta, in ogni camerata.
Splendono i distintivi nella notte buia.
Splendono le facciate incipriate sui
poveri e i malati, c'è chi muore di
paura, chi annusa i pavimenti della Chiesa,
i più forti sono di spalle:
ridono il grandissimo silenzio.
*
Stamattina ho scritto una poesia
e ho ordinato da mangiare,
fa troppo caldo a Milano
per uscire; alle cinque di pomeriggio
un gatto ha miagolato e ho ricordato
di prendere il rimedio per la tosse,
dopo tre ore le tende erano rosse
e la mia stanza sembrava la pancia
gigante del sole. Stamattina
(giorno seguente)
ho scritto un'altra poesia
sulle navi che salpano, sui morti
che parlano ma il moto è tutto
dentro queste minime mura,
un letto, una lampada, uno specchio,
la figurina di San Michele:
le poesie belle sono semplici, bevono solo
il latte bianco delle vacche nere.
*
Guardare una mantide che muore,
che scalcia nervosa
nella crepa della roccia:
aspettare in penombra la sua fine.
Io accoccolata col collo storto,
"Guarda con me questa
mantide che muore!'. Tu in piedi
alla mia schiena scura.
Tu in piedi col collo storto
aspetti qualcosa, tu osservi
in penombra qualcosa finire.
Imperatrice Bruno, poetessa nata nel 2001 ad Ariano Irpino (Campania), debutta nel 2018 per Aletti editore con la raccolta Costellazioni di emozioni, a cui seguono, per Nulla Die, Caratteri Interi (2021) e Volontà nobili (2022), che nel 2023 è risultato vincitore al Premio San Vito al Tagliamento. I suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue e riportati su riviste poetiche nazionali e internazionali.