
Bisogna prima intendersi su una faccenda: la voce bambina del poeta che state per leggere, bambina non lo è più. Non perché, dal precedente suo lavoro, il suo versificare si è fatto più esperto, senza cadere nel mestiere, e più limpido, ma senza perdere le ombre.
Giovanni Rossi ha maturato un'opera solidissima, uno struggente canzoniere il cui discorso si coglie per intero solo dopo aver letto tutte le poesie che lo compongono. Ed è, quello che avete tra le mani, un canzoniere di riconoscimento. E' l'autore che, scrivendo e scavando dentro le parole, e rivolgendosi a un 'tu' che risponde a ogni nome e a ogni indirizzo, riconoscere se stesso e fa i conti con temi giganteschi dell'umano sentire, ma sottraendo il peso della questua. Giovanni Rossi interroga e s'interroga, ma senza chiedere nulla in cambio, come puro atto di cura, con la curiosità impietosa dei bambini. Ecco dov'è il bambino della voce poetica, non nell'ingenuità delle poesie, ma nel gesto col quale semina sulla pagina versi e parole. È un poeta, quello che abbiamo di fronte, onesto, come si diceva della poesia di Saba. E quale dote potremmo apprezzare maggiormente in chi scrive, oggi che l'onestà è divenuta qualità sempre più rara?
Questo piccolo, incantevole libro ha l'allegrezza spietata di una "sinfonia improvvisata", dell'improvvisazione che solo il molto lavoro può permettersi. Ho delineato, ad apertura di questa nota, alcune apparenti contraddizioni della natura poetica di questo libro; contraddizioni della poesia come contraddizioni della vita, materiale desiderabile per un poeta. Il lavoro, però, è a monte: grande osservatore dei moti del cuore, esperto di paesaggi umani e naturali (c'è l'estate e il quieto sciabordare del mare in queste poesie, ma anche il freddo d'inverno e la luce di ogni mattino), lettore di poeti, si direbbe che lo scrivere di questo autore è un'estensione delle sue giornate. Ignora cosa voglia dire scrivere per progetto (per nostra e per sua fortuna), e congeda il suo secondo libro fedele a una lirica che in tanti, compagni di generazione, provano a smarcare per inseguire gusti e tendenze, mode facili. Giovanni sa bene che si scrive con il proprio sangue, restituendolo perché abbia in sé la verità obliqua del sogno. "E' una fatica restituire il sangue", annota in un verso, ma è anche l'unica restituzione in grado di produrre senso e futuro.
C'è molta cantabilità nelle poesie de "La voce bambina", rime intelligenti e molte ancora struggenti, capaci di inchiodare il lettore, di metterlo a nudo. Ma l'autore si serve della dolcezza del verso anche o soprattutto per dire ciò che al cuore fa più male sentire; come fosse, la forma, un possibile risarcimento per la durezza di certe intuizioni:
Credi di avere ancora tempo
oppure dopo non potrai più? Salpare
sulla nave di pirati che è la gioventù,
beffardi alle spalle del tempo
e sorridendo a quel timido fuoco
che uno schiaffo di vele al vento
deve avere appiccato lontano.
Qualche anno fa la giornalista Francesca Bellini, pubblicando un articolo su 'Il Messaggero' dedicato a nuove giovani voci della poesia romana, titolava: "La Capitale ritrova i suoi poeti". Era il segno di una rinascita: la scuola romana di poesia, che tanta fortuna aveva avuto negli anni Ottanta, aveva trovato sulle sponde del Tevere (e più in là, tra periferie e località litoranee) dei nuovi testimoni. Sono passati quasi dieci anni da quell'articolo; qualcuno non c'è più, qualcun altro prosegue nel percorso, altri ancora hanno cambiato tono rivolgendo la propria voce e i propri gusti altrove. Giovanni Rossi, con questo libro, vivifica la tradizione di quella scuola romana che, lungo il fiume, ha cantato limpida e commossa la città e gli amori, attraverso un io lirico che, bruciando, non si consuma.