Sulla riappropriazione del discorso mitico

30 Maggio 2023

 

La riappropriazione del discorso mitico, oggi, è un gesto necessario alla ridefinizione di uno spazio etico e sociale per la letteratura. Cosa vuol dire epica oggi? Cosa significa proporre un nuovo modello per ridare respiro a questo genere di sguardo sul mondo? Può sembrare una follia riportare in auge il sistema e i moduli epici, sessanta anni dopo le decostruzioni operate in ambito strutturalista e post-strutturalista. Tali sistemi di pensiero sono nati, infatti, con la necessità di decriptare e ribaltare il linguaggio simbolico del potere capitalista e patriarcale, ovvero la semantica attorno alla quale si sono strutturati i modelli di organizzazione della società attualmente predominanti. La riduzione, la moltiplicazione e l’annullamento dell’Io, dagli anni ’60 ai ’90, sono state tecniche programmatiche volte a destrutturare la morale e l’autonarrazione eroica della borghesia, con l’obiettivo di far scricchiolare la costruzione culturale predominante dell’Io. Esplicitare la condizione di disorientamento e abbandono delle categorie non aderenti al modello sopracitato è stata un’operazione eversiva. In quest’ottica, l’epica, essendo tradizionalmente un sistema narrativo implicato nella creazione di simboli, ha in sé la caratteristica di destoricizzare un evento e riproporlo secondo un significato autonomo, con il rischio di appiattire ed escludere le molteplici possibilità in cui questo può essere percepito e, quindi, narrato. Si è assistito, infatti, nella storia culturale dell’Occidente, ad una ripetuta strumentalizzazione delle icone generate dalle narrazioni epiche, rimaneggiate nei significati a seconda delle contingenze del potere e della sua preservazione. Chi ha potere definisce i simboli e i rapporti di una comunità di esseri umani con lo spazio fisico e virtuale in cui è immersa. Pertanto, alla base delle poetiche e dei programmi del secondo Dopoguerra, vi fu l’obiettivo di scardinare i punti di orientamento caratterizzanti l’epoca del Boom economico, denunciandone la matrice ideologica e di Mercato. Smantellare sistematicamente e profondamente il sistema di pensiero borghese significava anche far emergere nuove possibilità di sguardo sulla realtà, non censurando gli aspetti più violenti e grotteschi della società. L’inclusione dei punti di vista delle categorie rimaste agli ampi margini, la decostruzione dell’idea di Paesaggio, la frammentazione e il rimescolamento delle strutture linguistiche, sono stati strumenti critici che si sono affermati, in seguito, come humus di partenza per ogni nuovo progetto letterario. 

 

Ma se nel secondo Novecento lo smantellamento dei simboli dominanti era legato al potenziale di cambiamento della società, date le condizioni magmatiche delle democrazie occidentali in seguito alla Guerra, ciò che oggi si osserva è come questi strumenti siano divenuti prassi formale ormai anacronistica in una comunità globale totalmente mutata. Rispetto alla prospettiva politica originaria, ci si avvale dei modelli di interpretazione legati al distanziamento nichilista per dettare norme di organizzazione testuale e di contenuto, abbandonando ogni aspirazione di influenza attiva sulla cultura. Adducendo alla loro originaria finalità critica, questi sono adoperati per definire il canone delle opere contemporanee. Ciò che ci troviamo ad affrontare è una pratica che ha ridotto temi critici come lo svuotamento semantico di eventi, personaggi e desideri, a criteri formali per la formulazione di un canone che risponda alla norma di una letteratura-mimesi della realtà. In una società in cui l’azione dell’individuo è impossibilitata dalle nevrosi che lo attraversano e dal sentimento costante di isolamento, tale modello vanifica ogni tentativo di ricostruzione semantica dell’Io, del proprio vissuto e dei propri desideri, poiché inadatto a interpretare eventi troppo grandi per le esigenze temperate della letteratura borghese. Nella storia letteraria si è sempre assistito alla confluenza della pars destruens verso un significato inedito dell’attività umana e dei rapporti interpersonali e abitativi, e oggi che più che mai ne percepiamo l'urgenza questo impegno viene a mancare. La generale dispercezione rispetto ai grandi eventi che l’umanità sta attraversando rende «la strategia di distanziamento adottata dal cinico [...] del tutto inadeguata» a produrre effetti concreti, poiché viziata anch’essa da una postura catastrofista e inattiva. Le poetiche legate al nulla e alla sua rappresentazione tendono all’annichilimento dell’individuo non borghese, alimentando il generale atteggiamento di perturbante attesa della fine. Ogni obiettivo sociale, politico ed economico delle categorie represse ed escluse è annacquato e ridicolizzato da un’idea di letteratura a rimorchio dell’esistere. Ampie questioni di ordine sociale ed ecologico sono relegate ai sottogeneri della letteratura seria, nonostante tali problematiche irrompano violentemente nella vita di ognuno come se «la terra fosse diventata un critico letterario e se la ridesse di Flaubert, di Bankim e degli altri come loro, sbeffeggiando il loro sbeffeggiare gli “eventi prodigiosi” così frequenti nei romanzi popolari e nei poemi epici». Aderire poeticamente e culturalmente ad un sistema di pensiero che faccia della letteratura e della poesia una piccola appendice consumista e prosaicizzata della persona risulta essere, ormai, un gesto elitista volto a spegnere ogni tentativo di costruzione di un’epica delle categorie escluse.

 

Proprio in funzione di un ribaltamento della traiettoria dominante, è necessario un ragionamento sulla riappropriazione del modello epico in chiave critica e inclusiva. Il mito nasce a partire dalla necessità umana di trovare un senso alla propria attività, individuando punti di orientamento e codici necessari a proiettarsi nell’habitat e nella propria rete relazionale. Se costruito in una prospettiva di emancipazione dal sistema attuale, oggi rappresenta una strada fondamentale per la ricostruzione dell’Io attorno ad un’idea di complessità soggettiva, di collaborazione e comprensione profonda del proprio spazio e del proprio ruolo r-esistenziale rispetto all’impronta distruttiva alla quale stiamo assistendo. Il sistema epico, se volto alla costruzione di legami biografici tra soggetti materialmente tratti in tragedia, crea relazionalità, riconoscimento, porta l’Io fuori dai confini del proprio isolamento connettendo la sua condizione a quella di molti altri. Questa ricostruzione epica provoca potenza partendo dal trauma, costruisce relazionalità distribuendo il peso della tragedia. Numerosi intellettuali, scrittrici e poeti, oggi, difendono il diritto di promuovere uno sguardo che possa, attraverso lo strumento della letteratura, proporre nuovi codici e significati improntati a ripristinare il rapporto dell’Io con l’altro, non più alla ricerca spasmodica dei propri confini, ma nell’apertura ad una condizione relazionale che riposizioni la pluralità e i suoi significati in uno spazio di frontiera libero da semantiche precostituite, sviluppando nei lettori uno sguardo etico inclusivo e non più antropocentrico e individualista. Oggi assistiamo al culmine di un sistema che ha fatto dell’utilità economica dei corpi biologici e non, la propria unica finalità. Tuttavia, questa condizione non nega la possibilità di instaurare un rapporto attivo con i sistemi di significazione, agendo sul modello di sviluppo e coabitazione dell’uomo nel suo ambiente. A tal fine appare evidente che la letteratura ha il compito di sviluppare e narrare uno sguardo complesso sullo spazio come luogo di relazioni, contrapponendo alla dispersività globalizzata la concentrazione di significati tipica di uno sguardo locale, e alla visione apocalittica e auto assolutoria una consapevolezza r-esistenziale dell’essere al mondo in una società complessa. Per questo, l’unica prospettiva in cui è possibile rivalutare gli obiettivi della letteratura e della poesia è nell’ottica di una ricostruzione volta a rimodellare i sistemi di posizionamento dell’Io nella pluralità e nell’habitat, alimentando la fiducia nel potenziale positivo che può scaturire dall’apertura simpatetica del soggetto verso una rete relazionale ed ambientale.

 

 

Note:

1 - T. Morton, Iperoggetti, trad. V. Santarcangelo, Roma, Nero Editore, 2018, p.15.

2 - A. Ghosh, La Grande Cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, trad. e cura di A. Nadotti, N. Gobetti, Vicenza Neri Pozza Editore, 2017, pp. 34-5.