Partire da qui: ma nulla poi sarà come prima.

Una nota di lettura a Partire da qui di Stefano Modeo.
14 Luglio 2025

 

Il sospetto che Partire da qui, la seconda raccolta poetica di Stefano Modeo (Interno Poesia, 2024) tratti una partenza da un posto del Sud Italia, sorge spontaneo già dal titolo. Ma la conferma arriva solo dopo aver letto le sue note biografiche dietro la copertina, perché il punto di partenza in questione, ovvero la città di Taranto di cui il poeta è originario, non viene mai menzionato direttamente ma solo accennato con l’allusione ad elementi tipici della sua storia e della sua tradizione. La scelta di sottintendere la provenienza deriva forse dalla volontà di dimostrare come il legame con i natali sia così radicato da non sentire l'esigenza di manifestarlo. L’autore inizia il suo racconto dal margine più estremo, il mare, che poi è solo un margine geografico dato che attraversa tutte le pagine per finire poi dritto sui binari di un treno diretto probabilmente in Veneto, dove Modeo attualmente vive e lavora come insegnante. Ma il tragitto non trascura certo le viscere della città, dove scorribande di ragazzini in moto alzano la polvere dei cantieri e gli angeli scendono ad allattare i bambini. Lo stile del racconto, soprattutto nella prima sezione del libro, è più descrittivo nell’esposizione paesaggistica, mentre lo sguardo dell’autore ha un taglio documentaristico con l’uso di un linguaggio e di un’oggettività che rimandano alla cronaca giornalistica.

 
Dalla sezione ‘A Sud di nessun dove’:

 
NEL VICOLO
 
Seduti con le ginocchia nere,
non sanno cos’è un bosco di faggi,
né come fugge una volpe.
Ma in questa, di foresta,
sono come uccelli. Dai resti
dei cantieri fischiano al giorno
il canto misterioso del loro mondo.
In due nel vicolo, in sella alle moto,
s’involano ora sfiorandosi appena:
nella corsa impennata in quella via
si sentono meno incapaci
se si fa presto a imparare a migrare.

 
*
STELLA MARIS
 
Un angelo scese tra loro
e si perse nei vicoli
ad allattare i bambini.
Si sbracciò, lo videro sparire
in un denso catrame,
forse raggiungere una riva.
Guardiano del faro
illuminò le onde più nere
per chi teme la parte
oscura del mare.
Ogni anno incendiano
il cielo di fuochi
per mandargli un conforto,
un segnale del loro ricordo.
Pregano con gli occhi tristi,
dicono: “Santissima che puoi”
affinché riposi i seni
su questi figli suoi.

 
Nella sezione 'Pater', invece, il distacco si inserisce tra i suoi protagonisti, padri che nuotano al largo e figli abbarbicati sopra alberi di ulivi, come se si preparassero a una lontananza inesorabile perché endemica. Ma presto viene lasciatto il posto a una premura reciproca che vede i padri pregare per i figli destinati ad emigrare e questi ultimi preoccuparsi dei primi, come accade ai figli di Alfredo (unico nome di persona che compare nel libro, oltre a quelli di alcuni riferimenti biblici, mitologici e letterari) nel tentativo di seppellire il genitore sotto un acero dalle radici profonde. Del resto, quale espediente metaforico più dell'albero può rappresentare il legame genitori-figli, anche quando il divario generazionale determina una divergenza di aspirazioni e prospettive?
 

Dalla sezione ‘Pater’:

 
UN POSTO
 
Datemi un acero dalle radici profonde
per i figli di Alfredo venuti a cercare
lavoro in questi giardini, sulle colline
fra statue di gesso e limpide fontane.
 
Che possano qui seppellire suo padre
che possano portargli dei fiori. Datemi
un acero dalle radici profonde nei giorni
di sole, lontani dal mare, quando si muore.

 
*

 

PREGHIERA PER IL FIGLIO
 
Proteggi lui che annega
e sospendi ogni giudizio
adesso che perde ogni cosa,
viaggio dopo viaggio.
Chi incontrerà il fuori
se dopo ogni curva estraneo
ai mandorli, ai ciliegi, ai vigneti
in una città tanto triste, lo vedi
restare indietro in un corteo
come il fischio di un treno.
Proteggi lui che incespica
e sospendi ogni giudizio
ora che guadagna il silenzio,
viaggio dopo viaggio.

 

Al centro dell’opera, si trova la sezione a mio avviso più criptica, Il segreto di Pulcinella (dal tono a tratti govoniano) dove si evincono due elementi apparentemente estranei a Taranto e potenzialmente fuorvianti: la maschera di Pulcinella e il vulcano. Ma quest’ultimo potrebbe tranquillamente fungere da metafora del gigante industriale dell’ex Ilva che ha piegato la città ai suoi obiettivi capitalistici, riducendo un povero disgraziato, il Pulcinella di turno appunto, a un bislacco mitomane i cui deliri lo rendono vox populi. 

 

Dalla sezione ‘Il segreto di Pulcinella

 

IL BUFFONE

 

Si disse anche: «È solo un buffone,

perdonatelo. Vive d’invenzione». 

 

È una difesa, innanzi allo specchio 

ognuno teme di vedere sé stesso. 

 

Da questo, chi è capace e si scarcera 

Non è schiavo di niente e si smaschera. 

 

*

 

LA VERITÀ

 

Morti di fame, nasi di pezzenti 

musi di cane e malas palabras

ruba monete senza fede e ragione.

 

Dava persino pietà quel sorriso 

di uomo-bambino, di corpo diviso 

 

Ma la verità è che la povera gente 

di amore e dolore non ne sa niente. 

 

 

A dominare nell’ultima e più corposa sezione della silloge, invece, è la nostalgia, un sentimento così antico e inestinguibile da chiamare in causa personaggi del mito, della Bibbia e della letteratura locale, per accompagnare l’autore nel viaggio verso la consapevolezza delle trasformazioni che la sua città ha subìto dopo l’industrializzazione. Come se sentisse il bisogno di portare con sé testimoni di un mondo primordiale di cui restano poche tracce per non restare solo di fronte al mare di interrogativi e a cercare un bandolo o il capo di un filo per districarsi dai sensi di colpa. Come già accennato in precedenza, il libro si conclude su un vagone in viaggio verso un altrove indefinito proprio perché parte da un sud di nessun dove che rende fumose le prospettive in un approdo alieno dove persino il pane perde sapore all’improvviso (ricalcando l'immagine dantesca) e spinge a mantenersi saldi all’unico punto cardinale che si ha a disposizione: il punto di partenza. 

 

Dalla sezione ‘Nostalgia

 

ITACA

 

Odisseo piange vestito di carbone,

«tornate indietro, senza dolore». 

Ciò che non sa è che il governo sta

Franando, non terrà una legislatura. 

 

Ma con il fianco ferito, il dolce del vino 

Non dimentica i nastri, le rive petrose 

O le nuvole grezze ferite di notte. Così, 

dopo numerosi giorni non si è seduto 

a mangiare con loro il frutto del loto.

 

E mentre muove veloce verso il basso 

Itaca è divenuta Santa per decreto,

imprigionata nell’inferno dell’usura. 

 

*

 

DAL VAGONE

 

Salgono uomini dagli occhi sfiniti

e leggono e dormono abbracciati

al sedile. Non abbiamo malinconia

ma c’è il tramestio delle rotaie

e lo spazio della pianura nel vetro,

una luce azzurra dalla costa al viso,

un pane senza sapore all’improvviso.

È questa smorfia che fai, una disputa

che mina, che tutto frana nel silenzio

ad avvelenare l’aria del vagone. Pensi:

non basterà un viaggio per raggiungerli,

spiarli dai vetri infranti pizzicarsi il mento,

un gesto d’affetto – mentre guardi il vento

ingrossare, saperli camminare rasente il mare.

Va bene, adesso il mondo è fermo. Il treno

in corsa liquida le forme in un luogo alieno. 

Ma a qualcuno è sfuggito sulle labbra come

le punte degli scogli segnino un confine.

 

 

Letto così com’è scritto, senza segni di interpunzione alla fine, il titolo della silloge di Modeo non vuole essere un invito o un imperativo a lasciare un luogo per un altro, ma piuttosto un tentativo, nel suo caso ben riuscito, di tirare le somme per valutare quanto pesa il suo bagaglio in vista di nuove esperienze. Partire da qui, è dunque un moto da luogo e, contestualmente, moto a luogo; comparazione tra passato e presente che nel percorso perde colori e sapori; consapevolezza che nulla poi sarà come prima. Perché, come scrive in uno dei versi conclusivi del libro, se si osserva bene fuori dai finestrini di un treno diretto in un luogo alieno, le punte degli scogli segnano un confine. E un nuovo punto da cui partire.