"Non dirò che questa è un’antologia di poesia femminile, ma non dirò neppure che sono poeti che hanno avuto un corpo, un nome di donna; dirò che hanno scritto poesia degna di restare, dando voce anche al fatto di essere donne. Leggerle finalmente insieme è necessario, non perché debbano essere relegate in un canone di genere, ma perché fino ad ora raramente abbiamo avuto la possibilità di farlo; questo libro muove dall’idea che l’assenza di uno sguardo complessivo si ripercuota sulla poesia contemporanea e sulla permanenza di un pregiudizio di genere in letteratura, oltre che sul canone del Novecento.
[…] La scelta di utilizzare fin dal sottotitolo la parola poetesse, consapevole che molte autrici oggi rivendicano la maggiore correttezza della forma poete, non è dovuta a ingenuità né a soggezione, ma neppure a una pura affermazione della differenza. Riconoscendo la forza del discorso sul linguaggio come luogo di lotta, da Alma Sabatini fino a Judith Butler, volutamente e provocatoriamente scelgo di mantenere la parola più scomoda e più antica nel nostro immaginario, perché coerente con ciò che desidero affermare: la presenza della storia, non soltanto il valore della differenza ma con esso la necessità di ricostruire e accogliere una tradizione fatta anche di ombre. Ogni minoranza ha risignificato politicamente le proprie parole ferite, le ha fatte rifiorire come stemma rivoluzionario e monito storico. Le donne in poesia sono state incontrovertibilmente una minoranza fino alle soglie di questo millennio. La domanda che dobbiamo porci è se lo siano ancora e come. Non si tratta soltanto del pregiudizio sulla poesia femminile come emblema di dilettantismo e sentimentalismo, ma di una più sottile gerarchia che investe topoi, temi, forme metriche e lessico: un automatismo interpretativo con cui la poesia delle donne è stata letta, commentata, selezionata. Il canone è soltanto la conseguenza, il riflesso inevitabile di un vizio di sguardo e di una società.
[…] Escluse quasi tutte dal canone, narrate nonostante questo per la loro eccezionalità, per i loro amori o per i loro troppo brevi destini, sono arrivate nelle mani di chi le ha cercate con la forza paradossale dell’unicità; benché marginali, benché escluse. Un coro di voci sole in un secolo che per la poesia italiana è stato determinante proprio per la sua coralità, per la ricchezza di movimenti e di voci. Eppure non erano davvero casi isolati, le donne nella poesia italiana del Novecento ci sono state: hanno scritto moltissimo, pubblicato con grandi editori, alcune di loro hanno raggiunto la fama. A loro si deve la traduzione di capolavori della letteratura internazionale, hanno diretto riviste militanti, partecipato alla vita letteraria e al lavoro editoriale, fondato i premi più ambiti. Stimate, amate, sostenute o criticate dai loro illustri colleghi e amici, all’ultimo momento sono state comunque rimosse. Questa costellazione non ci è stata visibile nel suo disegno d’insieme, non ha potuto orientare la rotta.
[…] La scelta dei testi che ho cucito in questo disegno segue un triplice criterio: vuole mostrare il modo in cui le poetesse del Novecento italiano hanno saputo cantare le donne, intercettando il discorso corale che hanno fatto anche autonomamente, senza essere né complici né in competizione, senza neppure riconoscere la necessità di appartenere a un discorso corale. Ho poi scelto i testi in cui il repertorio simbolico potesse essere visibile come il rovescio di un ricamo, una costellazione di immagini. Infine ho scelto i testi in cui hanno parlato - e lo hanno fatto tutte - della propria scrittura, del rapporto con l’opera, della necessità che i loro versi potessero restare. Molte sono le voci che ho preso in considerazione con una non facile ricerca, se non ho incluso nomi imprescindibili come quelli di Grazia Deledda, Elsa Morante, Anna Maria Ortese, Alba De Cespedes, è perché in loro personalmente non ho avvertito la poesia come una vena primaria, ma piuttosto come contro canto ad un’opera che splende in altra forma. Inoltre non volevo tracciare una mappa che avesse la presunzione di essere esaustiva, desideravo lasciare a questa scelta la parzialità dell’errore. L’immagine della costellazione mi ha orientata: un gruppo di stelle più o meno visibili, legate da un invisibile disegno, capaci di brillare ancora in differita, da una distanza che irride la morte e la sorte e si apre su una galassia più estesa, in espansione."
dall'Introduzione di Isabella Leardini
Ama l’opera tua
Ama l’opera tua. Soffri per essa
la tua pena più bella e più segreta.
Donale il sole de’ tuoi giorni, l’ombra
delle tue notti. Non te ne distolga
altra fatica, o amor di lucro, o il duro
convincimento che, più essa è viva,
più sottile sarà l’irrisione
dei nemici, più stolido il silenzio
degl’ignari, più vano il tuo sperarla
compresa, accolta, benedetta. L’uomo
ti lascia, infido, quando la bellezza
ti lascia. Il figlio – in seno prima, e poi
nelle braccia portato, e alla sua sorte,
poi, con pianti, ceduto – oh, non lo perdi
sol se ti muore: più lo perdi vivo,
anche se di lontano indietro volga
lo sguardo verso l’ombra della casa
ove nacque, ove crebbe, ove fu puro.
Ama l’opera tua, che unicamente
ti rassomiglia per divine tracce
note a te sola. Unicamente puoi
far vero in essa il sogno, e sogno il vero,
e perdonare al tuo nemico, e rendere
bene per male, e accogliere in un grido
tutti i cuori viventi entro il tuo cuore.
Ama l’opera tua, ch’è solo amore.
Ada Negri
Per Ada Negri
Ada, quel male che ti fece male,
quell’aspro ardir che mi temprò in acciaio
il verso e l’aguzzò come un pugnale,
s’acqueta, o vela d’un sorriso il guaio.
Forse, sorella al tuo spirito quale
già mi sentisti, ora non più t’appaio,
se bene il verso mi riluca eguale
come fosco a quel tempo, or quasi gaio
Ada, io non piango più. Or so che il pianto
agli occhi nuoce e che una vista chiara
giova a seguir per ombre un bell’incanto.
Le catene cambiai con due monili:
pesano meno in qualche agile gara
e adornan meglio i miei polsi sottili.
Amalia Guglielminetti
Nessuno può derubarci della gioia
la nostra gioia sotterranea
come tenera acqua
come vena di roccia
Lalla Romano
Sfiducia
Tristezza di queste mie mani
troppo pesanti
per non aprire piaghe,
troppo leggére
per lasciare un’impronta –
tristezza di questa mia bocca
che dice le stesse
parole tue
– altre cose intendendo –
e questo è il modo
della più disperata
lontananza.
16 ottobre 1933
Antonia Pozzi
Quale ero
A mano a mano quale ero ritorno:
una che va vestita come càpita,
contenta del poco, di rari
amici scontrosi,
una dispari
felice di bere alla brocca
della sua solitudine.
aprile 1963
Daria Menicanti
Sì
Sì alla terra ed all’acqua ed alle creature che vi dimorano,
sì all’aria da cui viene la vita, sì alla luce ed all’ombra,
sì al ritmo delle stagioni ed al ritmo del sangue,
sì a tutto ciò che si forma e trasforma, sorgendo
dalla polvere e ritornandovi, sì agli altri pianeti e alle stelle
fino alle più lontane, sconosciute Galassie,
immensamente fulgide anche se il loro fulgore a noi non giunge.
Sì col mio amore, breve com’è breve il mio tempo,
e che pure vorrebbe tutto in sé accogliere, di sé circondare!
Le mie braccia allargate sono appena l’inizio del cerchio.
Ma un Amore più vasto lo compirà.
Margtherita Guidacci
Uomo
Altro da me in tutto ... maschio, estraneo,
altra carne, altro cuore, altra mente,
pure, il mio stesso corpo prolungato,
la voce che si sdoppia, e mi continua:
ciò che si oppone, e ciò che mi compone
come un discorso teso, mai concluso,
o l’altro occhio: il raggio che converge
al rilievo, allo scatto delle cose –
mio necessario opposto, crudele meraviglia
è amare te: godere di due vite
in questa sola, avere doppia morte.
Armanda Guiducci
I leoni sul sagrato
C’è un luogo dove dormi
e il tuo respiro
io non lo sento, non lo sento mai.
Fra i nostri due riposi
è la città spavalda
strade, fragori, alterchi, gente e tetti
e come due leoni sul sagrato
remoti e fermi, chiusi in una forma,
noi vigiliamo la nostra distanza.
Mariagloria Sears
Nelle prossime settimane pubblicheremo altre poesie da Costellazione parallela, vi faremo conoscere una per una le autrici antologizzate. Il volume contiene sedici ritratti realizzati dai giovani artisti della Scuola di Grafica dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, indirizzo in Edizioni e Illustrazione per il Libro e la Grafica d’arte: Eros Beggiora, Simone Cortello, Alessia Vadacca, Silvia Giacomazzi, a quest’ultima si deve anche l'opera in copertina. L’apparato biobibliografico è curato da Sofia Fiorini.