In occasione dell'uscita del nuovo titolo nella nostra collana di poesia, condividiamo alcuni estratti da "Non per il mondo ma per il giardino", con un'introduzione di Isabella Leardini.
Mikel Marini porta nella poesia di questi anni un ecosistema inaspettato: giardino, deserto, fondale, alveare in cui ogni cella racchiude un universo quasi perfetto e al suo interno un'avventura fatale. A resistere sono fossili, reliquie e poesia, ed è appunto su ciò che durerà - ma anche su ciò che muore - che mira lo sguardo e punta il dito l'autore. Mikel Marini è lucido e ossessionato, in uno spazio eremitico dissacrato mette in scena una mirabolante giostra di santi reali e immaginari, re antichi e cavalieri picareschi, umanisti dimenticati; una collezione di punizioni autoinflitte nei modi più bizzarri, in un gioco di brillanti paratesti e di alterego propri e altrui.
Non per il mondo ma per il giardino è un labirinto di epoche e figure imprevedibili, sposta continuamente il confine tra letteratura e immaginazione, con la provocazione della farsa affonda in una prodigiosa originalità di pensiero. È un libro attraversato dalla violenza della mistica, in cui il mostruoso è meraviglioso e la penitenza è trasformazione.
C'è come un nuovo buio in mezzo a loro:
è chiaro che se due si abbracciano
l'ombra era nata accostando
sostanze sotto assedio della luce;
se i raggi si portavano i rimbalzi coi colori
da un piano all'altro
lasciavano anche intendere
che il punto di un contatto
rimane indistinguibile in un nero nero
dove non arriva
luce, dove ci si avvicina
finché da inseparati non si brilla più. Ogni ordine
suppone un imprevisto spaventoso in cui compaio.
*
IL SANTONIANO
Così si chiama un'era geologica che anticipa di pochi milioni di anni la fine del Cretaceo. Prende il suo nome da una cittadina francese, ma non è fatto di grande interesse. Di
maggiore rilevanza che il Santoniano si caratterizzi per la presenza di "black shales", ossia strati che oggi appaiono come roccia nera, ma formati in realtà da materiali organici di ogni tipo prelevati da forti venti e scagliati in fondo al mare, dove si sono stretti assieme e poi pietrificati.
Un ciclone ha condotto un miscuglio di corpi
e ramaglie antichissime al mare;
concordo di farmi detrito e uragano
con gli alberi e l'ambra, e con qualche esoscheletro
assunto da tarde creature bivalvi, sommerse
da quest'ettaro di terra che ha seguito la tempesta.
Ma da che il vento è cessato
lascia mescolarsi foglie crani e le ammoniti:
rifacciamoci in miscela di elementi
versioni incompatibili di vita in cui anche tu
vieni fuso piano alla mia mano
ai canali della linfa noi uniamo i nervi
la retina alla perla e al guscio d'iride
di un raggomitolato coleottero
senza che sappiamo del dolore.
Ci torneremo in sciala nera e argilla
niente ossigeni che sciupino il calcare,
senza respiro siamo belli, tieni il fiato,
quando posi lasci a un'altra parte
un calco splendido di te
che si può conservare in quanto facile
da perdere, ma non da fare;
i nostri usberghi, corazze contro l'aria
che si infiamma, propaggine del fuoco dappertutto:
possiamo essere davvero tutti i nostri sensi
che funzionano perfetti quando esposti
sanno farsi offendere anche non volendo
trattengono tantissimo, ti insegnano a
finire oltre l'incendio dei tuoi vermi.
Stiamo già dimostrando noi, completi come un fossile,
che si può educare
anche chi è già morto
(selezioni accidentali di conchiglie,
collocate assieme incantano da teche,
si capisce una famiglia dai suoi morti)
mentre saremo fusi e indistinguibili tra i santi
tra i minerali e gli esseri
lanciati da un tifone per marcire sul fondale:
tutto questo fa di noi davvero una grandissima avventura.
*
A BEDOIER IL CONESTABILE SI ANTICIPA LA SUA AVVENTURA MENTRE SERVE I COMMENSALI
Presso la corte di Artù, il conestabile è chi si occupa del cibo servito alla tavola. Un importante ramo della tradizione affida a Bedoier un ruolo decisivo negli ultimi atti del ciclo bretone: è lui infatti a restituire, dopo molta esitazione, la spada del re alla Dama del Lago, gettandola nel detto lago e dandosi poi alla vita eremitica.
«E sarà così
per più della durata del pasto
perché si danno a vicenda in un modo
che non avanza nulla e basta sempre,
e penso che se io fossi insieme a tutti
a tutte loro
io penserei che ho grande
fortuna
a smantellarmi e assumermi
particola a particola, risolta
con facilità, in bocca a un altro
e se tutti a questo tavolo stracolmo di gradali
a ogni pezzo che mangiassero prendessero ciascuno questo coltello,
che si può dire che aveva un manico
lungo cinque volte almeno la sua lama,
e a turno secondo l'ordine in cui erano stati serviti
lo usassero per sfilarsi chi dal braccio
chi dalla coscia un pezzo proprio, e che per loro
fosse importante e giusto che per metà
lo si mettesse in bocca di un vicino,
e quell'altra
in fondo al piatto da portata
nel fitto di salmoni che si mordono da soli,
io credo che a questo punto
si potrebbe capire qualcosa
grazie a questa collana di mani in bocca
e pugni fino al gomito nei piatti:
l'aria ci sbuccerebbe come preferisce,
ma noi non morderemmo più i bocconi,
i pesci nel vassoio mollerebbero la presa,
si forma così la lente piatta che si affila
senza limarsi o erodere,
con nulla difettevole di massa, col filo
difficile, che non si vede,
di un coltello a scatto che sta in tasca
e ha già fatto tutto,
marcio marcio marcio e poi migliore,
può tornarsene riposto dentro il nero».