
Rispetto al suo esordio del 2021 Cercare ovunque terraferma, in questo ciclo di quattro testi ancora inediti di Maria Chiara Arduini si possono riconoscere alcune somiglianze e differenze. Oltre alla ricerca di una scrittura netta nel ritmo e nel vocabolario, rimane costante anche una parola chiave: "fondo". Ecco alcuni esempi da Cercare ovunque terraferma: "Non ho avuto abbastanza fiato per dirti / prendi la luce che arriva dal fondo" ; "Quando ritroverai nel mare il tuo segreto / non guardare il fondo come terra / da bruciare" ; "ma a guardare più a fondo / c'è una rabbia che non muore mai" ; "mi mancherà per sempre / al fondo dei miei gridi / il tuo infinito che a volte non sa schiudersi" ; "ho accarezzato il mio cuore lacerato / e ci ho visto in fondo / il tuo".
In questa nuova sequenza allora bisogna fare attenzione al fatto che la prima poesia si apra con l'immagine della marea "che spezza i fondali", e che l'ultimo verso dell'ultima poesia invece sia "ma l'amore quando scorre / non ha pietà per chi va a fondo". L'impressione è come quella di una messa a fuoco: il fondo non è più una dimensione generale di profondità, ma un luogo concreto, il fondo del mare che, se rapportato al titolo precedente "Cercare ovunque terraferma", attesta uno sviluppo o comunque un approfondimento di alcuni problemi comuni (la fine delle cose, permanenza/impermanenza del mondo e del possibile rapporto da instaurarci). Da un lato il movimento della corrente, dall'altro l'immobilità apparente della pietra che è però disponibile ad affondare, o a subire "un grande lancio" , con un movimento alternativo rispetto a quello del flusso e che dipende da un lasciarsi muovere; con tutti i rischi che questo comporta.
Il mio cuore è di pietra – dicono gli uomini
Ma che ne sanno loro delle pietre.
M. Barnas
I
La corrente di quando mi amavi
è la stessa che sa levigare le rocce
la stessa marea che spezza i fondali
se avessimo avuto il tempo lungo della pietra
gli anni per vederci da lontano, prima di noi
il sale oggi non brucerebbe negli occhi
come dopo un grande pianto
o un grande lancio.
II
Vivevamo dentro un sogno stando attenti
a fare piano non svegliare
i fantasmi del futuro.
Tu sapevi che dovevi continuare
scorrere lontano verso il mare;
avessi avuto una tempesta ad aiutarti
ti avrei seguito anch’io, senza pensarci
ma le correnti calde della durata
vanno sempre molto piano
per sostare e dire addio
a chi teme l’aperto, alle rocce
troppo grandi, troppo antiche.
III
Il tuo amore non ha mosso la mia pietra,
mentre andavi mi lasciavi con dolore
ho cercato di seguirti ma serviva
una mano più potente, un altro canto.
ci saranno nuove correnti, più fredde della tua
mi lascerò ancora attraversare
ma se non ami non resta nessun graffio
nessun ricordo di quello che è mancato.
IV
Ma che ne sanno delle pietre le correnti,
del dolore di chi resta sempre fermo,
delle accuse di chi le dice indifferenti
perché mute non sanno rivelare
che una mano le ha piantate nella roccia
poi ha detto – provate adesso
a combattere nel buio, a nuotare
così pesanti nella vita.
Il dolore delle pietre è lo stesso
di chi pensa che l’amore
muova le montagne
ma l’amore quando scorre
non ha pietà per chi va a fondo.
Maria Chiara Arduini nasce nel 1999, vive tra Riccione e Milano.
È laureata in lingue e letterature straniere e in lettere moderne, ha lavorato sul poeta russo Tjutčev e sullo scrittore cileno Roberto Bolaño. Nel 2021 pubblica il suo primo libro di poesie dal titolo Cercare ovunque terraferma, edito da Jakabook, e ha partecipato al premio Lerici Pea Giovani. Ha frequentato il master in sceneggiatura e produzione per il cinema e la televisione alla Sapienza di Roma. È co-fondatrice dell’associazione culturale Pandemia (2021-25)
