Labirinto - Elio Pecora

Le parole della poesia - Estratto
26 Giugno 2024

A metà degli anni Settanta tornai in Grecia per la seconda volta. Di nuovo Atene, l'albergo rumoroso di piazza Omonoia, un uguale stupore per l'Acropoli, tenere e luminose nei marmi le carni degli déi, l'anfiteatro di Eschilo e di Euripide, la maschera di Atreo, nella folla delle strade i volti di Ares e di Poseidone.

Non più stavolta il chiacchierio di Corinto, a Micene la potenza indomabile della Porta dei Leoni, il silenzio armato di Salamina. Ancora Paros e il suo incanto immobile, le spiagge di pietre colorate, le chiese aperte di notte con le Madonne attonite sugli altari di legno.

Quella seconda volta, in compagnia di un'amica cinquantenne mai stanca e di un giovane amico attento ed entusiasta, sostammo solo per qualche ora a Santorini, affollata come un negozio romano nei giorni delle svendite. Quindi, solcando acque trasparenti, giungemmo a Creta. Già dalla nave gli occhi s'inondarono di una luce d'oro, luce senza scampo di ombre, e il cielo indaco e intatto.

Nel porto ci viene incontro un tassista, parla un italiano stentato, ma sonante. Montiamo nell'auto e subito l'uomo dal volto magro e segnato come un napoletano d'età, accerta la parentela fra greci e italiani, ripete: «Una sola famiglia!». Dice che può alloggiarci, ha stanze ampie al pianterreno della sua casa e una moglie allegra e premurosa. Parla, e nella voce gli si addensano echi, del Monte Ida, della Capra Amaltea, di Zeus che tuttora dorme la sua morte in un'immensa caverna. Ne parla come di una parentela mai trascurata.

Le stanze sono larghe e ariose, il costo contenuto. È sera e il tassista-albergatore ci avverte che per la prima colazione bisogna salire al terzo piano. Così il mattino dopo, al terzo piano, conosciamo la moglie: scalza, grassoccia, ballonzolante, lo sguardo azzurrino puntuto, porta in tavola latte e miele, pane scuro e burro. Subito mi viene da dire che i due, il tassista e sua moglie, senza dubbio incarnano i signori dell'Olimpo, la coppia del dio fulminante, instancabilmente fedifrago, e la regina pronuba, occupata fra gelosie e vendette. Anche quella di certo non mancava di ricordare con occhi puntuti a Ebe di versare altra ambrosia nei calici dei banchettanti.

In quello stesso giorno vediamo il Principe dei Gigli, i giovinetti danzanti, il trono tarlato di Minosse e, a metà mattina, nel sole accecante, il mercato con i cesti stracolmi dei frutti più diversi e di spezie odorosissime. Non mi trattengo e insisto su quanto tuttora proviene da Africa e Asia e di quante civiltà abbiano convissuto sull'isola.

 

E il Labirinto? Il palazzo dell'ascia, il luogo del perdersi e del mai più ritrovarsi, il posto dell'umano stretto nel mostro divorante.

Un'immensa distesa di mura sbrecciate, di slarghi, di svolte, di intrichi, di erbe arse. Dove il mostro attendeva gli adolescenti sacrificati al suo strazio? Tanti i chiamati in quei dirupi: Minosse e Pasifae, Arianna e Teseo, Dedalo e Icaro, e i terrori e le estasi, i mutamenti e le trasformazioni, le sciagure e i prodigi. Quando quei tutti hanno smesso di esistere? Creature dell'immaginazione, della mente contorta e compiaciuta. Figli della magnificenza e dell'orrore, vivono tuttora se seguitiamo a nominar-li, e non solo, ma a indagarne i viluppi interiori, le voglie indeclinabili. E Arianna piange per noi sulle spiagge di Nasso, il suo canto strazia nella dolcezza; Icaro vola alto e precipita nella luce che arde; Minosse - a sentire Omero confidente di Giove - siede nell'Inferno dantesco; Teseo è l'eroe; ma anche il traditore, il profittatore. Niente è stabile, tantomeno nel mito. Secondo Luciano di Samosata e altri, Giove muore a Creta; da qui la dormita millenaria nella vasta caverna. Sono morti gli dei, già lo spifferava Plutarco, ma la definitiva scomparsa, fra tristezza e arroganza l'ha data nel diciannovesimo secolo il filosofo della nuova misura, l'uomo che parlava al cavallo. Eppure continuiamo a parlarne come inquieti e gesticolanti.

 

E siamo al labirinto, per quel che significa nel comune dizionario:

Patologia dell'orecchio, perdita del senso dell'equilibrio, vertigini e stordimento. Impedisce il cammino in linea retta. (sassolini dell'orecchio).

E in psicoanalisi:

rappresenta la ricerca della verità, la sua complessità; l'uomo che s'interroga sul suo destino: il sentiero breve fra la nascita e la morte.

E ancora: epidemia dell'isolamento.

E ancora: uscire dal mondo per entrare in un mondo illusorio.