Imperatrice Bruno

Come ti giustifichi
17 Luglio 2024

[..] dicevano: come ti giustifichi? // dicevano: ma ti giustifichi, tu?

 

Lo scriveva Sanguineti. Che sia corretto o meno, spesso si è chiamati a giustificare la propria poetica. Accade di sicuro alla nostra generazione e a quella immediatamente precedente: sui social siamo continuamente messi nella condizione di doverci giustificare davanti a un pubblico, per quanto ristretto, e non solo quando si tratta di poesia. Abbiamo deciso quindi di creare uno spazio che dia a poet* nati dalla fine degli anni '80 agli anni 2000 la possibilità di legittimarsi. Benché le domande di partenza siano le stesse per tutt*, abbiamo scelto di tenere aperta la possibilità di un dialogo con chi prenderà parte a quest'iniziativa, ricollegandoci alle risposte date, per portare avanti un’operazione volta al dispiegamento della poetica individuale e collettiva in una chiave di autocritica.

 

Imperatrice Bruno è nata ad Ariano Irpino nel 2001, vive a Milano dove frequenta l’Università Bocconi in Economia aziendale. I suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue e presentati su riviste, blog e programmi televisivi nazionali e internazionali. Per Nulla Die ha pubblicato Caratteri Interi (2021) e Volontà nobili (2022) candidato alla prima edizione del Premio Strega Poesia e vincitore del Premio San Vito al Tagliamento Giovani Poeti 2023. Nel 2024 ha pubblicato per lo stesso editore la raccolta Materia Verticale. 

 

Partiamo con un pezzo facile, più o meno: definisci la tua poetica. In altre parole, quando scrivi poesia, perché scrivi in questo modo e non in un altro? Cosa pensi che renda la tua poesia tua?

 

Ritengo la mia poesia in una parola- plastica: che sia del fisico e del metafisico come innalzamento tangibile, sonoro e visibile. Questo perché credo (inteso come la mia fede è) nell’esperienza della Poesia totalizzante; da anni infatti in questo senso dichiaro di “camminare” le parole, di volere la tensione del diaframma, il tocco della lingua sul palato. Scrivendo di sesso, di sacro, di corpo, o di Morte, che i versi siano dominati dal proprio peso specifico, da parole che trattengono secoli di storia, di lotte, di nomi ma al contempo liberi da strutture standardizzate se incarnazione di forzature.
Mi piace pensare che “poesia tua” possa essere detta tale quando riconoscibile in anonimato; quando questo avviene è perché si ripetono nei testi giochi di taglio di fiato e figure d’intensità viva ma di radice remota, quando ci sono echi che riempiono lo spazio del coro e figure assenti che riempiono la pagina.

 

Poesia lirica e poesia di ricerca sembrano essere argomenti ancora caldi, come se un poeta “lirico” o presunto tale non potesse portare avanti un lavoro di ricerca letteraria. Crediamo infatti che il termine ricerca possa essere utilizzato in modo più ampio rispetto a quello a cui siamo abituati, e che ogni poeta porti avanti una sua personale ricerca. Che cos’è per te la ricerca? Senti di star intraprendendo un percorso di ricerca letteraria con la tua poesia?

 

Per i miei anni, poco più di venti, ricerca significa sperimentazione e scoperta, osservazione prima di sé stessi e poi delle interrelazioni al sé degli elementi esterni. Negli ultimi due anni ho condotto delle vere e proprie ricerche che ho goliardicamente titolato “studio sugli stati della materia”: una serie di studi, di viaggi e di interviste che mi hanno portato a sperimentare l’assorbimento, l’asciugamento e l’irriverenza della parola. Prima l’eliminare i segni di punteggiatura, il fare divisione sillabica di una parola in più versi, poi cercare un “noi” soggetto autonomo e sovrano, spingere l’”io lirico” alla condizione del “riuso”, scrivere un’intera “opera familiare” sotto forma di didascalia fotografica,non so se questa sia pura ricerca letteraria ma per me conta come progressione dal punto che ieri era il mio di partenza.

 

Si parla altrettanto spesso di padri, di maestri, e per fortuna adesso anche di madri, che si tratti di ucciderli o di inserirsi nel solco che hanno lasciato. Senza essere pedanti, senti presente nella tua poetica l’influsso di specifici autori e autrici di passate generazioni? Che cosa bisogna farne di loro? 
 

Sento l’influsso di tutti i poeti che ho letto, risposta banale, lo so, ma che forse può ricordare quanto chi prima di noi abbia dato risposte e meraviglia a domande e intuizioni in realtà ci richiami e ci riconfermi nella scelta dell’estetica e della comunicazione anche quotidiana, ci dica di appartenere o di dover apprendere altrove la nostra terra. Detto questo, credo che il più grande maestro e il più saggio dei padri sia colui che accompagna alla maturazione con discrezione, senza sopraffazione. Da qui, ricercare la propria voce.

 

Maestri a parte, in questa sede vorremmo approfondire questioni legate all’intermedialità, particolarmente rilevante quando si prende in esame la poetica di autori delle ultime generazioni. Ti chiederemmo quindi di raccontarci cosa ha dato forma al tuo immaginario poetico, al di là della poesia (parliamo quindi di opere di narrativa, saggistica, ma anche di film, serie tv, anime, fumetti, videogiochi etc.), e quale rapporto intrattiene la tua poesia con altri media narrativi.

 

L’immaginario a cui attingo in realtà è quello della mia infanzia, dei racconti, delle leggende e delle superstizioni vissute nella mia terra, l’Irpinia. Di sicuro mi hanno influenzato i riti e i rituali popolari, le letture delle Sacre Scritture e a dire il vero anche lo studio accademico dell’economia e della finanza, materie da cui ho fatto nascere figure scomposte e ironiche.

 

L’accusa di fare una poesia disonesta viene spesso mossa ancora oggi, benché la distinzione tra poesia onesta e poesia disonesta possa correre il rischio di suonare po’ antiquata (ne parlava già Umberto Saba nel 1911, più di un secolo fa). Ci sarebbe da capire che cos’è oggi questa onestà. Ti ritieni un poeta onesto? Pensi sia importante essere tale?

 

 Davvero distinzione desueta, l’onestà che è del poeta non completa la verità di tutti che la poesia richiede.

 

Tornando alle domande brevi, ma forse più difficili: perché scrivi poesia? Difficilmente lo si fa per ottenere un guadagno economico. La narrativa poi sembra avere un pubblico più vasto, per non parlare della scrittura cinematografica. Quindi: perché hai scelto proprio di servirti del medium poetico?

 

Scrivo poesia perché risponde dell’impossibile. Perché permette di essere abitata solo con rigore e devozione e in cambio dà un capriccio: per me poiesi, come creazione, è l’esistenza dal nulla e nel nulla di quel capriccio.

 

Un’ultima domanda a bruciapelo: una poesia che vorresti aver scritto tu, o che potresti aver scritto tu.

 

Qui non vorrei morire dove vivere / mi tocca
di Vittorio Bodini

 

 

Se dovessi invece scegliere una sola poesia per rappresentare la tua poetica, quale sarebbe?

 

La pupilla è nel midollo,

nel cervello (e questo è in quello – forse – 
perché quell’altro)

e le lumache nel sangue

diventano blu,

diventano mercurio

sulle tue stringhe unte e tiepide.

Chiudi quel morso da bestia, quella vescica 
da arma, da Dio. Chiudi i giorni,

ci rimane poco: un graffio alla meninge

e il colore celeste, morbido di talco: 
intorno l’aria è dolce

ma ogni bocca sa d’acerbo.