Giulio Zambon

Poesie inedite
22 Febbraio 2025

 

Aristotele non si spiegava come nascessero gli insetti. Per loro scrisse di generazione spontanea, ipotizzando che uscissero direttamente dalla terra, o dalle carcasse, con una conseguenza singolare: ci sono animali generati da non animali. Oggi sappiamo che non è così, merito anche dell'Accademico Linceo Francesco Redi (1626-1697) che, oltre a inventarsi l'improbabile autore medievale "Sandro di Pippozzo" per giustificare certe sue prese di posizione in materia linguistica, riportò nelle Esperienze intorno alla generazione degl'insetti (1668) i risultati della sua osservazioni sulla nascita degli insetti. In queste tre poesie di Giulio Zambon c'è tanto dell'occhio di Francesco Redi, guarda come lui agli insetti mentre pone domande sulla nascita. Le sue poesie fanno i conti con la soglia, il punto di separazione tra due realtà che può essere attraversato in entrambe le direzioni. Dipendono un po' da questo le indicazioni di movimento che troviamo: fuggire, rincorrersi senza fare finta oppure così rientriamo mentre i grandi ci sbirciano ; o quindi è così / che siamo venuti / nella luce tiepida di un soggiorno, che possiamo rientrare. In questi passaggi e spostamenti, avanti e indietro, è molto forte proprio la presenza degli insetti: formiche, cimici. Movimento e insetti si accordano quasi sempre: li vediamo spostarsi entrando e uscendo nelle travi, muoversi attraverso il tempo come la cimice della seconda poesia che si trascina dietro chi la sta ricordando e lo riporta al momento in cui è stata uccisa, fino all'insetto a cui staccare le zampe, che non si può più muovere. Ed è proprio a partire da questi spostamenti che anche Giulio Zambon guarda alla generazione, non solo degli insetti. Come in questo caso: e sparire o rinascere / come le formiche che spingono per penetrare e invece escono. È come se tutta la forza e il disagio dell'allusione ci aiutassero a riconoscere l'ambiguità di questa soglia sulla nascita: riusciamo a vedere l'uscita e l'ingresso che la aveva promessa e che avremmo preferito non vedere. Da qui dipendono la placenta, il grembo, il seme che compaiono in queste poesie, come in certi autori un po' "psicoanalitici". Penso ad Antonio Porta e Remo Pagnanelli, quest'ultimo soprattutto in Atelier d'inverno; ma forse anche a T.S. di Milo De Angelis, poesia in cui da una "uscita" si ritorna indietro fino al desiderio che nasce, il gesto. Nelle poesie di Giulio Zambon troviamo naturalmente anche altri percorsi, ma al tempo stesso sembra che pure lui stia un po' giocando la stessa partita di questi autori, ma a carte scoperte, forte di una tradizione che ha collaudato le sue analogie e che gli permette un senso più disteso del racconto, una chiave cifrata in meno. Sempre per restare nella metafora del gioco, mi viene da chiedermi chi potrebbe sedere con lui a questo tavolo tra i suoi coestanei/e. Penso per esempio alla silloge di Pordenone Esordi 2024 (qui: https://static.pordenonelegge.it/assets/pdf/2024/Esordi%202024.pdf?_gl=1... ), soprattutto alle poesie di Maria José Brialdi e Alessia Giordano, e mi domando se non stiano giocando ciascuno/ciascuna con la propria mano la stessa partita, e quindi quali carte potrebbero scambiarsi, o con che idee infestarsi, vedere come fissare insieme la posta in gioco.

 

 

 

(Per rispettare la verificazione originale consigliamo la lettura di questi testi con il telefono in orizzontale)

 

 

Dove vanno gli insetti

 

dove vanno gli insetti, spingendosi e sparendo 

sotto le porte chiuse

seguendo la promessa di chi prima di loro, davanti a loro

 

è scomparso.

scendono

 

penetrano il marcio delle travi, accoccolandosi 

nell'utero, dove siamo

 

siamo fratelli, ci raccogliamo attorno a un tavolo per mangiare 

e le formiche confusamente nella farina

 

allagano divorandola. lasciatela sparire 

come il collo della bottiglia. quindi è così 

 

che siamo venuti

nella luce tiepida di un soggiorno, che possiamo rientrare

 

e sparire o rinascere

come le formiche che spingono per penetrare e invece escono.

 

dove vanno gli insetti o dove stanno tornando.

 

 

 

 

Ghiaia

 

c'è qualcosa in questi scivoli nuovi che non ho mai visto 

una corsa oscura, la serietà dei bambini

 

ce ne sono due nel fondo fermi nel buio

 

li vedo stringere l'alleanza segreta 

con l'imperfetto indicativo dei loro giochi 

 

poi fuggire, rincorrersi senza fare finta 

nel calpestio eterno

 

nel cortile vuoto e senza bambini.

 

seppelliscono i loro passi nella ghiaia, che li trattiene 

li imbalsama nella loro morte

 

continueranno a giocare nel cimitero delle loro orme 

a nascondere nei sassi senza saperlo la cimice

 

uccisa della loro infanzia

 

che è nel bianco recondito del muro, sola, sull'intonaco 

sconfinato. mi avvicino

 

riformulo per sempre il gesto 

come in un sogno. la cimice 

 

senza occhi mi sorveglia, conosce la mia vita.

nella casetta di plastica, nel coagulo remoto del cortile 

 

ho pronunciato il mio buio.

 

dalla schiena si separano le ali. vibrano. la madre rompe 

la placenta. esce.

 

 

 

 

Amniotico

 

solo una volta siamo usciti con la testa imbevuta di nostra madre da nostra madre

così rientriamo mentre i grandi ci sbirciano

 

somiglia a uno scarafaggio questo nostro penetrare senza gambe, spingerci

dove misteriosamente sono le cose non nate.

 

sbuchiamo come loro dopo essere scomparsi nel grembo del battiscopa. possiamo tastare

con queste manine di feto, riconoscere il buio amniotico

 

sono palline. che possiamo schiacciare, guardare rigonfiarsi nello spasmo lento e senza vita.

 

le salamandre con la testa schiacciata allargano e stringono le dita 

agguanto nell'aria vuota quelle della loro madre.

 

i grandi non possono entrare. chiudono nelle mani la lucciola, la spiano. si aggirerà

senza una colpa chiedendo di essere guardata, voluta

 

«mamma! guarda mammal». anche noi ci aggireremo, giocheremo a non sapere

 

come staccare le zampe a un insetto. ma i grandi non ci potranno filmare

 

continueremo a sorridere. coveranno le videocamere nel tabernacolo delle mani. ci lasceremo

ingoiare. scenderemo come saliva. docilmente sapremo 

deglutendola la consistenza, l'opalescenza del seme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giulio Zambon nasce nel 1998 a Thiene, nel vicentino, e vive a Ferrara. È laureato in Italianistica e diplomato in Pianoforte. È stato libraio, direttore di una piccola collana di poesia, docente di musica e maestro di palco presso il Teatro Comunale ferrarese. Oggi insegna letteratura italiana nelle scuole e si occupa di divulgazione di poesia sui social. Sue poesie sono apparse nel n. 25 della rivista Poesia di Crocetti e hanno ricevuto premi e menzioni, tra cui una menzione presso il Concorso "Facoltà di Poesia" dell'Università di Siena (2022) e il premio "Niccolò Bizzarri" di Firenze (sempre 2022).