Gaia Parlato - Poesie inedite

Tenendo per mano l'ombra
17 Luglio 2025

 

Nelle poesie di Gaia Parlato si è di fronte a un modo inusitato di sfruttare il verso; l’Io si àncora alle parole come agli oggetti, spezzando, sminuzzando dal periodo al sintagma, con l’ossessione di salvare ciò che resta: “le cose / della testa / se non / le scrivo / si spac / cano o si / disperdono”. C’è un aspetto di performatività nella sillaba, nella volontà di esibire la rovina di pezzo in pezzo e rallentare fino a interrompere bruscamente lo sguardo sulla violenza: “Colleziona / pupazzi / li mette / in fila”. Il “nostro incubo” viene attraversato con una voce lieve, capace di danzare nella brutalità. Succede come nelle fiabe, rendiamo accettabile ciò che ci guarda da vicino e per farlo ci fasciamo con il suono, come in L’animale I “Mamma la rondinella / mamma la rondinà / mamma la rondinella / gira, vota / e se ne va”, con i passi fatti ritmo per confondersi con il disastro. Così agiscono queste poesie, tentando, nella loro riappropriazione, di non svegliare i recessi ancora presenti sulla scena. C’è un affetto, un legame che unisce le vittime, come avviene in Le Fuggitive di Carmen Gallo, ma anche sapere che violenza non è necessariamente odio, ma qualcosa di più complesso e difficile da districare e, come in Satan Says (Sharon Olds),  si tenta “di dire che cosa ci è successo / nel perduto passato”. Questa poesia si muove su un limite pericoloso, il gusto della ripetizione può apparire stantio al lettore, ma è proprio nell’ossessione di un’immagine che la si può rendere innocua ai propri occhi e farne una lingua sopportabile per l’attraversamento. Il verso, allora, diventa postura, non tenta di dissimularsi in una prosa che voglia polverizzare l’impatto semantico dei singoli elementi alla ricerca di una variabilità decentrante. Per questa ragione, nonostante il rischio di cadere nell’automatismo, l’autrice istituisce abilmente un sistema straniante, facendo stridere l’uso delle ripetizioni con espressioni aberranti (Io e le mie sorelle / venute al mondo stroppiate / io e le mie sorelle siamo state / le tre teste di Cerbero) o reiterando e rallentando l’immagine per obbligare il lettore a indugiare. Così il corpo di un padre morto ricorda lontanamente l’esperienza di abbandono e rimorso in Electra on Azalea Path di Sylvia Plath,  un padre che “ha martellato inciso spiegato/ creato aggiustato rotto distorto picchiato spaccato”, ed è rivestito con un gesto unico da una delle sorelle che gli mette “la cravatta la cintura la camicia” mentre l’altra è giunta solo per vedere ciò che resta, da un punto di distacco che agghiaccia, dove neanche la morte può espiare più tanta violenza.

 

 

 

 

La bambina I

 

La vedi
mi cammina sui fili
della testa, la bambina
mi percorre
come una strada sterrata
bollente d’agosto
mi raccoglie
le pietre di sonno
dagli occhi
le lancia
una dietro l’altra
nel lago: nessuna pietra
nel gioco
riesce
a sfiorare la superficie. Il padre
è alla nostra
destra
sentiamo
in qualsiasi cosa
l’odore
della paura.

 

 

La bambina II

 

Colleziona
pupazzi
li mette
in fila sul tavolo da cucina
fa i giorni dispari
la maestra per finta:
se uno di loro
non ha fatto i compiti
che ha assegnato il giorno prima
lei finge
di non aver visto, prende
la matita
e con una premura unica
degli infelici
gli mette
comunque dieci.

 

L’animale I

 

Mamma
prendimi le mani
fammi ballare
tra le quattro bianche mura
del nostro incubo

 

 Mamma la rondinella
mamma la rondinà
mamma la rondinella
gira, vota
e se ne va

 

Mamma
fasciami la testa
il tuo sangue versato
non è bastato
a non farmi aver paura
di fare l'amore

 

 Mamma la rondinella
mamma la rondinà
mamma la rondinella
gira, vota
e se ne va

 

Mamma
dove sono
le rondini del nido
incastonato tra le quattro bianche mura
della casa dell'orrore?

 

 Mamma la rondinella
mamma la rondinà
mamma la rondinella
gira, vota
e se ne va 

 

Avranno avuto paura anche loro
a vederci scatenate
in quella danza convulsa
che per caso, mamma
ci ha strappate alla morte

 

Mamma la rondinella
mamma la rondinà
mamma la rondinella
gira, vota
e se ne va.

 

 

L’animale II

 

Il corpo di mio padre
lo veste mia sorella Federica
il corpo di mio padre ha martellato inciso spiegato
creato aggiustato rotto distorto picchiato spaccato
il corpo di mio padre spaccato
il corpo di mio padre distorto
il corpo di mio padre morto
lo veste mia sorella Federica, padre nostro, gli mette
la cravatta la cintura la camicia - l’altra sorella, Antonia Sabina, sta
seduta al tavolo da cucina, al suo posto. ha fatto
cinque ore di auto per vedere il corpo
di morto padre nostro.

 

Io e le mie sorelle
venute al mondo stroppiate
io e le mie sorelle siamo state
le tre teste di Cerbero attaccate ad un unico corpo
il corpo
di nostro padre morto.

 

Padre nostro che sputi e tremi
sia sacrificato il nostro nome, figlie del segno
martiri della tua volontà
che ora ti lavano e ti vestono
e ti piangono quelle mani che le percossero
e ti trascinano nel sesso e dopo il sesso scrivono di te
come in cielo
così in terra.

 

Restituiscici oggi
la rabbia che ci afferra
quando ci hai nate
sotto il segno della violenza.
E rimettici gli occhi svuotati, gli occhi
sfigurati,
i connotati del viso strappati come noi li rimettiamo
ai nostri amanti debitori - e non ci far riconoscere
di continuo nei tuoi umori
ma liberaci dal tuo amore. Amen.

 

 

L’animale III

 

Le correnti di sotto
hanno il verso contorto
del suono del muto:
solo una voce

 

risponde al mio richiamo
io piango
un padre mai amato

 

Le mani del lago
mi guastano le gambe
mi strappano le parole
che ho cucito tutt’attorno
io piango
una madre che mi fu bambina

 

e mentre mi appantano
nel nero di ciò che è stato
sento
nella folla i bambini
che giocano e cantano
io piango
una bambina che mi morì dentro

io la piango
la curo e la conservo
finché lei non inizia a marcire
e mi avvelena lo stomaco:

 

io piango lo slabbro dei miei vent’anni io piango
il sangue del mio sesso io piango
quel filo della vita
strappatoci da dentro.

 

Ritorniamo insieme
nella conca del buio
che un giorno
ci vide luce
e attendiamo.

 

 

 

La bestia I

 

Se tocco
le cose
le cose
si guastano.

le cose
della testa
se non
le scrivo
        si spac
                    cano o si
disperdono.

 

Mi devo
      raccogliere
            mi devo
                  raccogliere
                            mi devo
                                raccogliere

 

 

continuamente.

 

 

La bestia II

 

Il mio corpo
è troppo
grande
per questo
treno

 

Tutto è
troppo piccolo
per le mie
spalle
senza fine 

 

Ho vissuto
tutta la vita
in una casa
sola

le mura
mi trattengono
a malapena:

 

mi sono
chinata
per
raggomito
larmi e
ho spaccato
i contorni
delle cose. 

 

 

 

L’animale III

 

Ho due o tre parole
non di più. La vita
mi è sempre stata
un artiglio di morte. ho ancora, attorno
le reti bagnate
del sesso di mia madre.

 

Adesso
prendo quelle due o tre parole
cammino
e sono bambina
ho le mani
sopra gli occhi. il mercato
del dubbio
è cominciato:

 

io, mani consunte ginocchia sbucciate
io madre delle madri uomo degli uomini padre delle donne
io incastrata nell'origine
abbandonata alle correnti
io penetrata dal perdono, moglie della memoria
io in divenire
io che sempre mi tradisco
e mi resto fedele
io che sempre mi appantano
nelle mie due o tre
parole violentate.

 

 

 

 

Gaia Parlato (Napoli, 2000) studia Lettere Moderne all'Università degli studi di Napoli Federico II. Fonda con alcuni colleghi l'associazione Libera Poesia Contemporanea. Suoi versi compaiono su Articoli Liberi e La Repubblica. Compare anche nell'antologia "Poetry Spring" (Edizioni Ensemble, 2024) e "Alter Napoli" (Edizioni Ali Ribelli, 2025). Pubblica con Libera Poesia Contemporanea l'antologia "A cadenza di Cinque" (Bertoni Editore, 2025).