Francesco Rocco - Poesie inedite

È giunto il tempo / fioco della misura
13 Luglio 2023

 

Le poesie di Rocco richiedono una lettura che non si limiti ad archiviarle come stranezza arcaicizzante di nessun interesse per chi non cerca capricci letterari. Invece pretendono una fiducia: fiducia nel fatto che versi come Saresti venuta anche tu in questo / incendio d'ambra marsupiale. non sono frutto di esibizionismo. In questo caso specifico, da un lato l'atmosfera di arancio e fuoco evocata dal secondo è parte integrante dell'immaginario di tutto il componimento, che si chiude tra dune e ustioni; dall'altro l'importanza che riveste l'ambra come sospensione della vita (fossile/gioiello - creatura in movimento resa immobile) dilagante come un incendio e a cui viene associata la parola marsupiale, che unisce la pelle di animali, appunto, marsupiali, e il tessuto del marsupio inteso come tasca o borsa. L'intera poesia è retta da questa metafora, attraverso l'atto del tessere che diventa anche lo scucirsi di una relazione condotta per rammendi tra ambientazioni deserte e domestiche, l'oasi e la bottega. Si potrebbe fare questo genere di discorso per la grande maggioranza dei versi delle sue poesie, se letti tentando di ritracciare il percorso che sta dietro al susseguirsi di allucinazioni e sonorità forti. Allora si riuscirebbe a cogliere una grande agitazione di fondo, da cui neanche gli scenari più pacati sono risparmiati: un tempio con gioielli diventa aule dove arde il fuoco / di diademi sbucciati dalla luce, un bruco nel ghiaccio un bruco drogato dall'inverno (di nuovo una sospensione, come nell'ambra), senza dare però l'impressione di un congegno infallibile. Invece, sospensione e agitazione si rincorrono, e il risultato è spesso un approdo su immagini precarie, in bilico e sul punto di disfarsi: mi vernicerò / due pupille grosse / come sassi di fiume oppure ma t'ho lasciata indietro a barcollare / come un manichino di cristallo o nel mondo che respiro la morale / vale meno di un cappello nella bora_ dando così ragione di tutto il resto del testo che non vuole nascondere la fatica fatta per restituire in questi versi la lucidità e l'intento accumulati nel corso della poesia.

 

 

ALEXANDER

 

Rimangiati il tuo fuoco, burattino.
Qui non c'è spazio
per i ciocchi smezzati, smagriti
dalla scure, per i ceppi
dilaniati dalla lusinga del metallo
che occhieggia come una ballerina
nei saloni della lascivia la domenica.
Rimangiati le tue schegge amare,
giaciglio di chi non ha forma,
e impiccati coi tuoi fili farisei
al patibolo della tua obbedienza:
il rogo del rimpianto non ha seme
nelle terre di un presente mai vissuto.
Penzola ancora un poco,
come un ladro di cianfrusaglie
che schiuma impoverito dalla furia
ansiosa d'un'implorazione
mentre un tetro fuoco funerario
ti plasma con un gesto d'ossidiana.
Molti ti avevano creduto
l'irriguardevole progenie
d'un maledetto sintomo di luce
in questo novilunio sonnacchioso:
pensavano ti bruciasse
sulle nervature l'onta
di resistere alla fiamma
come una rupe al vuoto
e ti pregavano di lambire
le loro leggi difformi
col sacerdozio incostante
del novizio incredulo.
Ma è troppo angusto il palco d'un teatrino
per chi sa la mole dell'istrione,
troppa strada frastaglia
la cresta del monte eroso
e tu non volevi gelare
come un bruco drogato dall'inverno
nelle meteore rugiadose
di un salice di cartapesta.
La ressa non suffraga funerali
per i vinti e non scolpisce lapidi:
ha solo un'unghia di pupilla
e solo da quella s'irradia
la cecità viziata dei suoi ammiccamenti.
Ti avevano insegnato a incolonnare
i passi e ti avevano indicato
le pieghe della balaustra
col feroce ammonimento
di lasciarvi serpeggiare il cielo.
Ma tu lo sapevi che era giunto
il momento di mutare
custode, di salutare
il vizio con una bevuta.
L'altezza soffoca i vivi
ma non tutti i vivi sono guide
e nessuno fra loro ha distillato
la porta dell'assennatezza.
Fiordiligi
non la conoscevi.
Non potevi
placarla
con la suadenza ferina del potente:
lei era altrove.
Non potevi
ridurla
con la svagatezza asettica del bruto:
lei era ovunque.
Fiordiligi non incespicava
come un vascello ammutinato
sui mari della tua coscienza.
Fiordiligi non derideva
il pulviscolo camuso degli inchiostri
sulle mappe della tua incoscienza.
Fiordiligi era come un prato
di cristallo e la cautela velenosa
che riga e infetta i corpi, le membrane
acetose, le flaccide
ombre furenti e mutilate
di chi non crede al mondo e di chi il mondo
ha fatto scolo viscido del fato
invero aliena all'orma orientale
delle sue orbite fulgide era.
Sapresti ritrovare le sue redini
nel tepore del suo crine
se lei te lo chiedesse come segno
d'incondizionata fiducia nell'enigma
che vi rincorre dagli argini alle fonti
ingioiellate della vostra pena?
Sapresti ricavare da un'estinta
riga di retoriche bugie la parola
capace di resuscitare
la fine di un altro bacio?
Sapresti ricolorare la ragione
che ti investe di brume stizzite
come l'incenso rancoroso
che piove sui cortei della lussuria?

 

A pochi passi
dall'onda veemente che con attoniti
presagi incespica sui fanghi
floreali, sui lidi immacolati
dove il papiro affolla
croscianti e stracciate risorgive,
oltre l'indomito
soglio polveroso delle canicole
azzurre, dei giorni limati
dal flusso sbilanciato delle folle
negli antri e nei sobborghi lapidei
futile, fragile giace
l'umile spoglia ascosa
del grande invitto che il breve
corso delle sue glorie vinse.
Nelle aule dove arde il fuoco
di diademi sbucciati dalla luce
d'un mezzodì illividito, nei cortili
dove le Muse ombreggiano
i seggi, i peregrini, i motti
babelici di deserte facce
e l'afa degli altari incrudelisce
le variopinte teche ove la morte,
ultimo limite, rifulge
con la sua bonaria corruttela
e i portici, le porte, i cerchi
di roccia, gli ovuli vanesi
che agghindano le travi e le vetrate
gialle d'un oro atroce
sono la fervida ammissione
d'un'ingenerosa prospettiva,
dorme la salma, l'epa
gonfia di spezie ingorde, lo sguardo
annichilito dalla caustica
ambrosia della sonnolenza
nel suo peplo comatoso, tetro
di porfirogenite simbiosi
con disarmanti spazi, inappellabili
fortune prosperose e gladiatorie,
col sorso che respira nelle coppe dove
la manna dei forti si tramuta in miele.

 

Tace la scia arcana delle sabbie
che presso l'Eschate fuggono gentili
come la seta su un fregio glabro
e tace nel torpore dell'Ammone
il mezzo globo ch'abita i suoi fasti
stinti come la spuma
d'un tramonto d'ottone
sui tagli ambracei di scafi in moto
lungo le doline vaporose
ch'aprono i gorghi ai lucernari
violenti dell'abisso scontornato
mentre pudiche vergini in ammollo
sciacquano i corpi dal nuvoloso fuoco.
È tempo di crollare per gli eroi
che credono nel branco fragoroso
questo tempo vitale duramente
addotto alle miserie del suo gene
madido di dominio
e i templi che si crepano scalciati
dai balli disarmonici dei venti
rancidi d'ululati
e lo scalpello sanguigno
che vocia con paterna compiutezza
sui fusti negli androni degli Olimpi
e i demoni illanguiditi
d'un'eternità salace
sono il suo vettore alterno,
la sua rupestre ostinazione
che frana nelle nostre mani
e sugge dai nostri pugni torti
il baratro cordiale dell'umano.

 

Sia maledetto l'equilibrio,
il rozzo equilibrio dei convenevoli
a buon mercato per cui il grido
di una generazione fasulla
si ritrae dai tuoi polmoni e in te
si sbraccia, burattino, come il lume
struccato che ripete nei vespri
la pallida raucedine delle costellazioni!
È disadorno il cero che ti cosse svellendoti
dalle schegge lanceolate del tuo patrio
vano, rompendo la ghiaccia
rostrata che t'incute nelle fibre
l'estraneità d'un rivolo di pece.
Ardi! Non gemere: è tardo il gioco
che ci vuole in questa landa di cancelli
smaliziati come lo stormo
proteso all'acino che si dissangua.

 

Fiordiligi
non la riconosci:
non puoi
convertirla
con la pietosa salmodia del savio:
lei è passata.
Non puoi
più carpirla
con la coccarda ebbra dell'arguto:
lei è futura.
E prega ancora una volta
che sappia calare il sipario
mentre ti lecchi le ustioni
nude sulle tue mani.

 

*

 

Saresti venuta anche tu in questo
incendio d'ambra marsupiale.
Ti saresti portata appresso le tue
stoffe, i tuoi aghi, i tuoi ditali
fradici di splendidezza e ti saresti
messa a cercare le crune ad una ad una.
Poi, in preda ad una
delle tue follie svenevoli sono
sicuro che all'improvviso
mi avresti detto indolenzita: "Indossami."

 

Non amo  - tu lo sai - i mantelli e la loro
indennità pieghevole e neppure
amo ricoprirmi di tessuti
quando la terra è un limbo d'arsura
e puntualmente i crediti del sarto
restano grigia muffa di bottega.

 

Eppure come dissuaderti
dal tuo cantilenante rocchio e dalle
ritualità vellutate ed incerte
delle tue falangi sbarazzine?

 

Non avrebbe avuto alcun motivo illudermi
che le tue cordialità spontanee
sono premesse d'abbandono e vuoto
e t'avrei accettata come s'accetta
l'ombra incolpevole d'un'oasi prosciugata.

 

Ma t'ho lasciata indietro a barcollare
come un manichino di cristallo,
a rivestire di seta i beduini,
a misurare l'ustione delle dune
con le tue spanne di fanciulla.

 

Il resto te lo sei legato
stretto al cubito come un dromedario
mentre lontano mi scrutavi tessere
la mia eclissi lattiginosa.

 

*

 

Era già sera e, nonostante
la folle intesa
dei nostri muscoli euclidei, non eri
ancora ritornata al casolare.

 

Forse ti gravava sulle spalle la casacca
sommaria di qualche pudicizia
clandestina, qualche vangelo
di troppo nella borsa e un miglio
di torpore davanti
ai calli inebetiti dei tuoi stinchi.

 

Sebbene creda
che in qualche
rione mercantile stia svestendo
le tue depresse merci l'alba bianca
o, che ne so io, ti goda
la mostruosità felpata del presente
in qualche
stamberga d'accatto - l'uscio
slabbrato dalle piogge monsoniche,
le maniglie
viscose come succo di cicuta -

 

so per certo
che è solo un ritaglio
di smancerie senili la mia carta
ed in fondo, checché ne dicano
i profeti, i saggi, i materialoni
travestiti da tribuni del pensiero,
nel mondo che respiro la morale
vale meno di un cappello nella bora

 

*

 

È giunto il tempo
fioco della misura.
Il tempo di specchiarsi
su un pavimento, di calpestarsi
senza potersi prendere, senza
sapere se gli avanzi
dell'immagine traslucida che da sotto
ci scruta sono noi
o una molle caricatura.

 

Nella perenne
adolescenza estiva del mio animo
oggi ho scavato le fondamenta
di una fine che non sa tacere.
Da nessun banchetto
mi sono state lanciate
ossa polpose di midollo,
brandelli conviviali
di delizia, brindisi
di saluto. Il rimorso
che divoro a denti stretti l'ho pescato
io stesso nella fontana
ruvida dell'occasione.

 

Non ho voce per un mondo avaro.
Francesco Rocco, il pupazzo,
fa divertire, fa esclamare
leggerezza e curiosità, ricordi
ilari d'innocenza, dubbi
veracemente scanzonati.
Non ho voce per un mondo avaro.
I pupazzi
non esistono, sono le mani
di chi li vuole vedere
muoversi, le bocche
di chi li plasma lingue e polmoni.

 

Nessuno sa attendermi, nessuno.
Nessuno si è legato
come un cane alla catena
della mia stima, della sua attrazione,
nessuno mi abbaia nelle orecchie
parole di sudditanza,
nomi di dignità, parole
di gemmea, aggressiva attenzione.

 

Ecco il relitto
che è tornato nave. Sta
qui, scolpito secondo
i vostri codici malsani,
le vostre miopi paranoie
e non indugia
se ha potenza nelle vele,
se ha clemenza
nelle onde e nella meta da solcare.
Chiunque
gli ha dato un carico, in troppi
un pedaggio, in troppi
un timone che non ruota
ma guida.

 

Non cercatemi
domani. Li conosco
i vostri criteri di redenzione.
Non evangelizzerete
un morto che lotta
per negarsi al paradiso degli estinti.
Le greggi degli ipocriti non vivono
altrove che negli ovili
di chi si è tosato i denti
per rassomigliare a un lupo.

 

Ma domani
sarò pazzo, domani
chiederò asilo alle muse
degli obblighi, mi vernicerò
due pupille grosse
come sassi di fiume
perché nessuno possa dire che mi sono
sottratto alla visione del suo dio.
E potrò esitare, finalmente. La saliva
mi bagnerà le labbra di timore.

 

 

 

Francesco Rocco è nato a Motta di Livenza (TV) il 25 maggio del 2000. Ha conseguito nel 2023 le lauree triennali in Pianoforte presso il Conservatorio "J. Tomadini" di Udine e in Lettere Classiche presso l'Università "Ca' Foscari" di Venezia. Frequenta il Centro di Poesia Contemporanea dell'Università di Bologna dal 2021. La sua ricerca artistica abbraccia la produzione poetica e prosastica come quella pianistica e compositiva.