Fael Marescotti - poesie inedite

Il figlio magico
3 Luglio 2025

 

 

Nelle poesie di Fael Marescotti bisogna entrare come si entra nello spazio del gioco, un gioco molto serio e per questo molto stupido, ma soprattutto autentico. Non c’è, nel gioco di Fael (più simile a un rito improvvisato che però procede senza intoppi), nessun esercizio di stile: anche il mascheramento è vero, ovvio, legittimo e spudorato. Le regole del gioco, di ogni gioco serio, cambiano giocando: l’intenzionalità, quindi, corrisponde all’azione, la parola alla parola. Ogni sostantivo non sottintende un significato ulteriore, come potrebbero suggerire i complementi di specificazione: “il banjo delle ombre”, ma allude a un rapporto di sussistenza. Fael lavora per eccesso. All’associazione di motivi ricorrenti aggiunge sempre qualcosa in più: un'immagine molto più profonda delle immagini, che emerge dalla relazione-sovrapposizione. Bisogna guardare agli accostamenti (“Gli alberi gli assassini i fenicotteri e le pietre” , “Qui dire ho freddo è come dire ho magia” oppure “il burro della luce che si spalma sul marmo dell’acqua”) come si guarda a una figurina olografica (quelle di Dragonball dei primi anni 2000 nei succhi di frutta) che rivela un’altra immagine se inclinata e tutti i passaggi in mezzo. "Ogni cosa è vitrea, mercuriale"- La metafora qui (simile a Rosselli) non va intesa nel suo senso più scontato: "la luna non è soltanto lillà / la luna indossa una maschera di sciacallo”, la sua natura più intima e plurale emerge nella tensione semantica. Tornando alla figurina olografica: quando la si inclina dall’una o dall’altra parte si sceglie di dare risalto a un’immagine piuttosto che a un altra; ma è nel rapporto tra queste immagini che si apre la possibilità interpretativa, il “vuoto”. A questo giardino segreto, però, non si arriva seguendo una mappa del tesoro, non si accede con una parola magica: lo spazio della poesia di Fael è la parola magica stessa, la “mappa del tesoro” in questione.

 

(Una parentesi biobibliografica)

 

Fael vive a Parigi: il che non è tanto un dettaglio “esotico”, quanto piuttosto un dato rilevante nella misura in cui emerge, da questi componimenti, una vicinanza al poema in prosa francese (Il Bonnefoy di Rue Traversière). Tra i riferimenti, c’è anche Dylan Thomas, che si definiva un poeta dell'utero e della tomba. Se questi due spazi sono presenti anche nella poesia di Fael, non sono però da intendersi in netta opposizione: nella poesia di Fael, quella che potrebbe una linea che va “da A a B" si trasforma in un cerchio, uno Zero che moltiplicato per sé stesso dà incredibilmente Uno, nei "frisbee delle aureole”. Un altro poeta a cui si può pensare leggendo Fael è Mario Santiago Papasquiaro (ma senza il nichilismo/auto-annichilimento), col suo "vagabondo con occhi di iguana” e con il suo Dio, similissimo a quello di Fael: "Il Dio / / che coagula senza poterlo pizzicare / un decibel di alcaloide scoppietta / buco nero”, un Dio della rivelazione Apofanica, della Stoltezza in Cristo, che non ammette contrasti ma “equilibri feroci”, per dirla con Sanesi. Vorrei che a questa mappa del tesoro, disegnata con sostanze arcane e giochi di luci e ombre, si guardasse con tranquillità, lasciandosi guidare come se si stesse giocando a mosca cieca, seguendo: “Il fuoco fuochino che non svanisce mai”.

 

 

 

 

 

V

 

È un'immagine molto più profonda delle immagini, 

altre betulle assorbono la mia sete, 

la sera agita chi sono,

giugno è magico se azzardo la parola vittoria.

 

Le tortore lo sanno, 

sanno che il mio terrore è elegante, 

adesso devo suonare il banjo delle ombre, 

devo richiamare i morti, avvertirli che ce l'ho fatta.

 

*

 

VII

 

Ho digiunato per tutta la morte,

adesso una presenza impossibile mi sorride mitemente,

la luna non è soltanto lillà,

la luna indossa una maschera di sciacallo,

ho polvere al posto del dolore,

ho un soffio orrendo al posto del linguaggio,

Parigi non sa che sto scrivendo il metodo della resurrezione.

 

*

 

II

 

Giugno era una voluttuosa spettralità che attraversava il nostro zodiaco, il 13 giallo-vuoto, già conoscevi qualcosa di astratto, ma io ero molto, molto più dentro all’estate.

 

Dicevi: “L’aureola mi fa pietra buia, piuttosto la sambuca per la voce, piuttosto una verdura amara,

non so, come una festa, da incendiare.”

 

“Amici di condividere l’onomatopea rimossa del silenzio, per l’appicco, tragico, della parola

di carbone.”

 

“Piuttosto la vita, per la vita soltanto.”

 

 

*

 

Sull'altare di mezzanotte come pozzanghera dorme il fuoco fuochino che non svanisce mai

in cerchio le liliali ragazzine della bontà gli soffiano addosso e fa calore e fa niente di niente

tante risa che sembrano preghiere oppure è la musica che flussa nel mio candido depensare

gli alberi gli assassini i fenicotteri e le pietre siamo qui giunti per ammaliarci fino a risorgere.

 

*

 

Sono puro come se zero x zero risultasse sempre uno

determino la fortuna del sogno

il buio nelle pietre soddisfa la mia sete astratta

l'astro genealogico mi rotea nel cranio

sono parole di vento le parole che non pronuncio

in questo vasto novembre

La poesia se è poesia essere l'ombra dappertutto

il mistero dell'eleganza

siamo immacolati e ci lanciamo i frisbee delle aureole

alcuni rapiscono l'oro dalle favole

altri maneggiano il niente

i più bizzarri bevono nuvole pisciano pioggia

nessuno vuole capire perché l'universo ci somigli tanto.

 

 

*

 

L'hashish ammala il cervello mentre luglio è un vapore d'angelo. Schizofrenie luminosissime mischiano l'acqua della Senna - i riflessi sparsi della mia serotonina ormai evasa dappertutto. I pioppi, il cigno: ogni cosa è vitrea, mercuriale, astrusamente senza menzogna. Sono l'Idiota del Secolo: non capisco nulla, mi fisso le ginocchia ma è come fissare due perle d'estate. Ho un equilibrio di panico & di libertà.

Adesso tremare significa una specie di ampia giovinezza.

 

*

 

Hai la mente cristallina di un cigno che medita i settemila cieli. Indossi la maschera di un fuoco verde. Riposi in un acquitrino morbido come la qualità selvaggia della quiete. Esisti anche se nessuno ti guarda. Non v'è epistemologia che rimpiazzi il tuo orgoglio. Sei l'interlocutore privilegiato, un libro d'aria per l'uomo che sfoglia il capitolo fortunato del silenzio. Costruisci colori, accarezzi mosche, profumi di angeli che hanno appena incendiato le agonie dei tristi. Assomigli alla libertà della parola infanzia, a Lisa quando divora serenissimamente uno dei miei attacchi di panico.

 

*

 

Oggi sei stupefatto come una chimera dalle pupille di smeraldo fuso nel cielo. Mi fissi dalla parte sana del risveglio, dove gli alberi allungano la loro sete nel paese puro della materia misteriosa. Il tuo silenzio è l’elogio del mio niente, è l’abracadabra che mi dà la voglia pazza della scrittura. Si dice che le idee dimenticate non cessino di esistere, che dalla rimozione della verità possano evaporare delle intuizioni somatiche. Infatti la pagina si scalda come una mappa del tesoro – si smargina il bianco del paradiso subliminale. La mia strofa abbozzata, il tuo residuo arcaico si contrae nella smorfia della predatrice. “Le bond sourd de la bête féroce”1 mi massacra di boati, baci limpidi, assenze ripetute. È quasi essere nella landa perfetta dell’increato, è sottomettersi insensibilmente alle leggi della poesia.

 

*

 

Sei lo scimmiotto dorato nato dall'uovo di pietra concepito ben oltre i miei ragionamenti. Balzi tra le liane dei miei nervi come il soffio insensibile di una santa stagione. Qui dire ho freddo è come dire ho magia.

La tua velocità immobile è un bene che si amplifica, uno specchio che non reclama immagini per essere uno specchio. La tua faccia mi ricorda un niente che ho vissuto prima di nascere. Ho quasi angoscia. Non voglio più vedere ma devo - ancora una volta devo arrotare l'occhio della lingua. Da sotto l'aureola del mio nome, bucando la notte di ogni lotta, aspetto l'umana sorella, la risata di Dio, una specie che si mischi alla fortuna, gli armoniosi uccelli di amare per sempre.

 

*

 

Gesù Bambino circoscritto da sette candele oscure. Pasqua proibita, negromantica. Faccia di Cavallo, espressione filosofale. Posso chiamarti Mamma, Papà, Sorella di Benedizione. Sei l’irraggiungibile che intuisco scrivendo senza obiettivi. Hai la forma di ogni forma, il silenzio fluorescente dell’orfano che si denuda in una stella. Consisti la parola sacro, essendone l’accesso, l’essenza e l’eccesso – sei la vergine che partorisce fuoco, la risata piena di ghiandaie che moltiplica il corpo della grande salute. Ho bisogno di te come un morto ha bisogno di vino; come il vino ha bisogno di una gola per scorrere, amplificarsi nello tsunami dell’ebbrezza spirituale. È questa elasticità dinamica (sogno il burro della luce che si spalma sul marmo dell’acqua), questo legame musicale tra i numeri e lo zero (sogno l’orecchio che origlia l’angelo ingigantirsi nel fondo della pietra), che ammanta la leggenda nascosta nel cuore, il simbolo di cenere, il tuo pane da soffiare via per sorriderci insieme.