Dalla commento dell'autore alla nuova edizione
Con parole remote mi apparve subito come un libro nato dal silenzio, nel silenzio. Qualcuno - ed ero io, ma poteva essere chiunque -, dopo aver fatto esperienza della contemporaneità, si era dunque "nascosto" in un giardino di aranci e di pensieri, e aveva ripensato la poesia partendo da più lontano, dalle origini, dialogando intimamente, e in un'altra lingua, con quelle origini stesse. Non sapeva ancora cosa avrebbe trovato. A dire il vero non sapeva nean-che, in quel momento, di stare cercando qualcosa.
Ritrovavo a poco a poco suoni, armonie che mi erano parsi fino a quel momento perduti; e la felicità di poter sostare su una parola, di muovermi tra un verso e l'altro come uno che cammini, e scopra lentamente, dopo una curva, un nuovo paesaggio, una nuova forma del respiro. Celare, serbare, custodire, restare «nella polvere di un noto // confine»: questo mi appariva il compito della poesia, cui guardavo nell'umiltà di un pensiero che si riconosceva più nei poe-tae novelli o in tarde figure come Naucellio piuttosto che nei poeti aurei di età augustea, comunque presenti.
L'ambientazione tutta naturalistica, e insieme simbolica, del libro che si andava a poco a poco delineando man mano che lo scoprivo, richiamava l'utopia di Assunto: ma al fondo dei versi, o sarebbe meglio dire dei fondamenti immaginativi sui quali essi poggiavano, era tutto quel paganesimo rustico - di Lares, genii, di patrii, Ambarvalia - che aveva trovato il suo poeta maggiore in Tibullo.
Agiva insomma un'utopia del cuore, mentre scrivevo questo mio libro, un culto restaurato dell'interiorità come valore assoluto, civile, una forma di resistenza ai miti negativi del Novecento, che non era un ritrarsi in nostalgie regressive. Semmai proprio il contrario: la forma del giardino epicureo, non come luogo dottrinale ma utopico, rappresentava ai miei occhi la conquista di uno spazio difeso dalla brutalità dei tempi, e dal male che è connaturato all'animo umano: un luogo dove la delicatezza dei nostri pensieri più nascosti non escludeva l'idea di una convivenza civile, di un'etica del vivere comune.
CANTO DI EVOCAZIONE
Vieni ombra/ ombra vieni/ ombra ombra
vieni oh vieni, buia
sali tra i gradini, nel tempo
Vienimi vieni vieni/ vienimi vieni vieni
con ogni doglia, con tutte le furie
con ciò che nell'ombra si sfoglia
con quel che nell'ombra spuma
Ombra vieni/ ombra ombra/ vieni ombra
nel vento nel vento
nel greve tormento
vieni oh vieni tra i numeri, nel fuoco
diventa canto roco
Vieni oh vieni/ vieni oh vieni
tra le forme del caso,
vieni, batti
contro gli spigoli, scendi
obliosa su ciò che è stato,
diventa nostro fiato
Ombra resta/ resta ombra/ resta resta
nella cupa fronda
nella sola testa
che geme che geme
tra i rametti del caso
nel cuore, nel seme invaso
vieni, oh vieni/ vieni, oh vieni
(ripetuto)
ANCORA TI CUOCE LA POLVEROSA
Ancora ti cuoce la polverosa
estate del sessantuno, quando
le mattine si disfano con il sole
già grande, cresce il meriggio cieco, e
più buie ombre declinano sul mondo
nel quale ci sei tu, accanto a un tronco
smangiato dalla folgore crudele
e un senso profondo di morte
lucente com'è solo la vita
che si scioglie a poco a poco
in un alveare di anni forse più ansioso
consumati tra strade di città
grandi, troppo grandi per te,
rimasto sospeso fra
due tempi che non si uniscono
non possono, e anzi si dividono
tesi in un tenue elastico
che si allunga, si allunga
fragile corda ormai
di un pensiero non mai mutato
mentre il vento già discende
sull'antico ballast, in un tardo
pomeriggio di suoni festivi di
agosto rosso e assoluto
che ancora erompe in forme estreme,
in fronde
oscuramente stormenti
fra le paglie del sonno leggero
su un lino di azzurro ancora teso
IN QUELLA OSCURA CAVERNA
1
Quello che chiudendo gli occhi vedete
è il vostro buio, soffiato
in uno scrigno di cielo intatto
che il sonno salendo allaga
come un fiume ombroso
fino agli orli della mente che si perde
a poco a poco
2
...
cosi che ti inoltri in un sentiero
erboso e scuro
in un mattino di sole di primo
giugno
del 1961
con pensieri lontani, con robinie
verdissime, e porte
che si aprono
3
quando il meriggio
porta polvere e ronzii,
anfore
dove il sole annotta
caldo, brulicante, voi
sentite ciò che era
ciò che folgorante
esiste
4
giunge come una domanda
il vostro sussurrare
tra gli spigoli di una stanza
più che ombrosa,
in una cella
5
in quella oscura caverna
6
e si ritorna
7
perché non sappiamo altro che questo
non ricordiamo altro
che questo correre correre del sangue
improvviso, in un giorno
che si profila remoto,
come il suo modello, troppo inaccessibile...