Ali Abbadi Fatmi apre la sua silloge con un nome: Khadija, un nome arabo femminile che significa "figlia nata prematura” e nome della prima moglie del profeta Maometto, prima persona a convertirsi all'Islam. Khadija ci suggerisce anche altro: in un contesto linguistico principalmente italiano dove lampeggia il francese di un soggetto femminile (Je suis fatigué, Ali / mon chéri nel testo La fatigue) è un nome che si identifica con la perdita, con una ferita insanabile. Di fronte a questa condizione, l’Io che era padre e figlio/ e tuttora io lo sono se mi chiama assume un ruolo drammatico di custode inerte, spinto ai margini, per terra, dal lato del suo letto, dove il viso della madre è negato nel presente e nel ricordo è solo braccia e corpo che mi bagna/di lacrime i vestiti. Il soggetto è costretto a un gioco sadico in cui è esposto a un processo di decadimento, percepito nell’odore del male e, più casalingo ma non meno loquace, di limone/ammuffito senza poterne cambiare le sorti, rinchiuso nella gravosa illusione di poterlo alleviare. Poi c’è la casa, la sensazione lugubre del freddo nei letti, i cuscini, i lenzuoli e i vetri dell’armadio attraversati dal profumo di uomo. Si delinea chiaramente una dicotomia uomo/donna, il primo è assente, persistente profumo di uomo, un nonno che esiste in un gesto solo, per poi svanire come un’ombra Mi dava dei soldi: vammi a comprare/un caffè. Tornavo. Non c’era più, presagio di una più lampante e biasimata assenza “Mio padre è stato mio nonno”, figura che potrebbe essere controparte negativa, da cui fuggire, del sostantivo padre dell’esergo iniziale, ma questa volta reale come un’assenza che ferisce senza / un abbraccio, una carezza, di cui l’autore afferma mi amava a tal punto che non mi serviva. Il dialogo La fatigue nasce da un montaggio intelligente di lingue, il francese che si impara come lascito dei colonizzatori, l’italiano freddo e amministrativo dell’anamnesi La paziente ha problemi nel sonno e di ansia, / oltre al quadro muscolare già noto, l’antitesi tra le frasi apprensive e dilluse del soggetto “Hai caldo? Va bene ti porto dell’aria da fuori.”, “Hai sete? Ti porto dell’acqua”, e il tentativo dell’interlocutrice di nascondere un dolore troppo grande per non essere evidente "Mon chéri, je te le jure/ je suis seulment fatigué". Per concludere, resta l’imperativo di uno scrittore che tenta l’unica e amara sorte del raccogliere i nomi di ognuno sto scavando / per sempre il tuo nome / dalla carta: / ora un buco sformato / verde, uno scavo che ricorda l’inesorabilità di Digging (Death of a Naturalist - 1966) in cui Seamus Heaney afferma di non avere una vanga per seguire uomini come suo padre o suo nonno (But I’ve no spade to follow men like them), ma una grossa penna con cui scavare, sinonimo del compito marginale ma necessario di un autore a cui non resta che raccogliere i resti della fatica e del lavoro degli altri. (Davide Gallo)
KHADIJA
Ero padre e figlio di mia madre
e tuttora io lo sono se mi chiama
Le ho insegnato a leggere le scritte
piccolissime dei fogli che firmava
troppo in fretta,
a usare il verbo sono.
Una notte mi ricordo aver dormito
per terra, dal lato del suo letto
non la vedo mai nel viso, nei ricordi
è solo braccia e corpo che mi bagna
di lacrime i vestiti.
E a poco a poco ho imparato a riconoscere
l’odore del suo male, di limone
ammuffito, di profumo di uomo:
sentivo dappertutto nella stanza
spargersi il suo umore, nei lenzuoli
sui vetri dell’armadio.
Allora mi poneva le domande più importanti:
Mi licenzio? Vado via?
io dicevo: no, stai con me.
*
Davanti a una finestra: la strada.
Vivo una casa di dieci anni fa,
il freddo nei letti, i cuscini.
io nell’auto dietro mio padre, aspettavo
qualcuno.
Mio nonno
veniva spesso a trovarmi,
gli aprivo la porta.
Mi dava dei soldi: vammi a comprare
un caffè. Tornavo. Non c’era più.
Mio padre è stato mio nonno senza
un abbraccio, una carezza
mi amava a tal punto che non mi serviva.
*
LA FATIGUE
Je suis fatigué, Ali
. mon chéri
lo sento nelle tue ossa
non preoccuparti.
Hai caldo? Va bene ti porto dell’aria da fuori.
Togliti la maglia - sudi - da quanto sudi
ti gira la testa, no! nessuno ti vuole sopprimere.
Hai sete? Ti porto dell’acqua… Ma
già dormi, col corpo intento a svestirsi a metà
Hai
dormito
per cinque
ore.
Sveglia
Bahia, ça va?
Oui oui mon chéri
ma trema la mano quando lo dici
e scoppi in lacrime quando mi vedi
ti sei sentita abbandonata?
Non siamo più andati al parco a giocare
ma tu sei ancora lì e mi aspetti.
La paziente ha problemi nel sonno e di ansia,
oltre al quadro muscolare già noto
Bahia perché non capiscono quello che hai?
Mon chéri, je te le jure
je suis seulment fatigué
Bahia, tu es déprimée
*
È il rosso che si espande nei tessuti
bianchi dei cestini da lavare, lentamente
ci raggiunge e prende spazio, nuovo pozzo
dei mali da curare.
Ma prima c’è stato un momento, un lasso
Interminabile nel mondo, in cui
mia madre non sapeva ancora nulla
e i muri ancora secchi e capaci di ascoltare
si toccavano e chiudevano in un cerchio.
Allora stretti tutti insieme sentivamo
i nostri sogni e desideri, li scambiavamo
giacché il respiro era un tutt’uno.
Poi dissi, tutto d’un fiato, non vi capisco
*
Su un tavolo, sto scavando
per sempre il tuo nome
dalla carta: ora un buco sformato
verde.
Sei diventato trucioli di gomma e
di carta: esisti anche se non ti trovo.
Davanti c’è un uomo che brucia
Non so da quale ricordo provenga
sa ciò che penso, che è osceno
che non vorrei vederlo, averlo visto
in tv forse una volta da mio padre,
o sognato solo,
ma sento il calore della sua pelle e
la paura di non poter scappare
dalla paura di averlo visto, vorrei
dargli i miei occhi
*
Ricordami se l'acqua spacca i vetri
di questa stanza chiusa, senza vita, mentre
sprofondano le case nel blu scuro.
Qui, dove le pareti sono gli unici
confini tra famiglie, mi sono perso, qui
si è capovolta un'esistenza tutta insieme.
E soffrire mi dici. Se si può
soffrire si disintegra ogni vertice,
anche tra le dita, in quel punto
dove uniscono e dividono il mio corpo.
Ma l'acqua non scompare e le finestre
lentamente non aprono più il mondo, tutto questo
è solo un invenzione e tu
non ci sei più.
Fatmi Abbadi Ali è nato a Modena il 12 maggio del 2003 da una famiglia con origini marocchine. Ha vissuto fin da piccolo a Ostiglia, in provincia di Mantova, dove ha frequentato un istituto professionale per i servizi commerciali. Dal 2022 vive a Bologna, dove frequenta la facoltà di Lettere moderne e inizia a collaborare con il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna, di cui è socio.