
Con questa selezione di poesie (almeno una per secolo) dalla tradizione a tema uovo ci siamo ritrovati in una situazione simile a quella che ci era capitata cercando di individuare almeno un fossile per secolo dal 1300 al 2000: nonostante il fatto che l'uovo, a differenza del fossile, sia un oggetto domestico, non è stato semplice scovarlo nella poesia italiana dalle origini fino alla modernità. Nel Novecento salta fuori da ogni parte; ma nei secoli precedenti lo troviamo solamente negli ambiti della poesia giocosa oppure, all'estremo opposto, didascalica. Sono esemplari i casi dei primi due testi che riportiamo: da un lato il famosissimo contrasto di Cielo d'Alcamo, che gioca in maniera allusiva sulla vicinanza tra il tempo di cottura di un uovo e il tempo necessario per sfogare la passione amorosa; dall'altro un estratto sullo struzzo mangia-ferro dal Dittamondo di Fazio degli Uberti, a modo suo imprescindibile poema didascalico post-dantesco. Anche Burchiello, e Busenello (con qualche inquietudine in più: polesini, pulcini che escono dal vuovo, uovo, e si prestano a sofferte considerazioni sulla mortalità umana), rientrano nell'ambito comico; persino Ariosto, in mezzo a questi due, con l'immagine di Greco che cammina sulle uova per entrare di soppiatto nel letto di Fiammetta, in un contesto da novella boccaccesca (con tanto di Fiammetta), ci conferma questa caratterizzazione scherzo dell'uovo. Per non parlare della Cicceide: per le vacanze avete il compito di scoprire qui ( https://it.m.wikipedia.org/wiki/Cicceide ) la sua storia. Per l'Ottocento abbiamo scelto una cosa un po' inusuale: Carducci che traduce i versi latini di un poeta gesuita del Settecento, Giulio Cesare Cordara. Lo abbiamo scelto perché Cordara riassume nei suoi versi sia la tendenza comica che quella didascalica. Infatti, nella poesia latina si fa gioco di chi usa paroloni greci in ogni situazione, arrivando a definire eliptico, ellittico, un umilissimo uovo; invece, in un suo capitolo ternario sugli insetti, si scaglia contro l'idea, a suo avviso ridicola, che gli insetti possano nascere veramente dalle uova. A questo punto forse entra in scena il simbolismo, ed è l'immagine stessa dell'uovo in poesia a schiudersi proprio come farebbe un vero uovo: non anticipiamo nessuna delle nostre proposte finali e vi lasciamo la sorpresa di andare a scoprirle in fondo all'articolo.
Cielo d'Alcamo (XIII sec)
DAL CONTRASTO ROSA FRESCA AULENTISSIMA
“Sazzo che m’ami, [e] àmoti di core paladino.
Lèvati suso e vatene, tornaci a lo matino.
Se ciò che dico fàcemi, di bon cor t’amo e fino.
Quisso t’[ad]imprometto sanza faglia:
te’ la mia fede che m’hai in tua baglia.”
“Per zo che dici, càrama, neiente non mi movo.
Inanti pren[n]i e scànnami: tolli esto cortel novo.
Esto fatto far pòtesi inanti scalfi un uovo.
Arcompli mi’ talento, [a]mica bella,
ché l’arma co lo core mi si ‘nfella.”
Fazio degli Uberti (1301 c.a. - 1367 c.a.)
DAL DITTAMONDO
Lo struzzo è pigro, e però la natura
Gli ha fatto sotto ogni ala uno sperone,
Col qual si punge a cercar sua pastura.
Di giugno copre l' uova col sabbione,
Il Sol le cova, e nati gli nutrica
Col fisso guardo che addosso lor pone.
Tanto è caldo, che uon gli è più fatica
Smaltir il ferro (e di ciò vidi prova),
Come il gran del formento alla formica.
Nè per cercar pastura o fuggir piova,
Tanto è grave, che con gli altri uccelli
Per l'aere a volo non par che si muova.
Domenico di Giovanni, il Burchiello (1404-1449)
Suon di campane in gelatina arrosto,
El diametro, e'l centro della fava,
Ed una Madia cieca, che covava
Uova di Capra, ch' eran pien di mosto.
Domandando di ciò, mi fu risposto
Da un Fattappio bigio, che volava,
Che se l'imbasceria non se ne andava,
Che ben se n'avvedrebbon tosto, tosto.
Comunche gli ebbon tal proposta intesa
Ratti n'andaron tutti alle Gualchiere
Per guarire intrafatto della scesa.
Allora ebbon gran doglia le saliere,
E mandarono un propio in Valdipesa,
Che fusse lor mandato un per quartiere.
Di poi le Cervelliere
Hanno studiato sempre in Aritmetica,
Veggendo, che la Cupola farnetica.
Ludovico Ariosto (1474-1533)
DALL'ORLANDO FURIOSO
Canto XXVVIII, 63
Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
tutto si ferma, e l’altro par che muova
a guisa che di dar tema nel vetro,
non che ’l terreno abbia a calcar, ma l’uova;
e tien la mano inanzi simil metro,
va brancolando infin che ’l letto trova:
e di lá dove gli altri avean le piante,
tacito si cacciò col capo inante.
Gian Francesco Busenello (1598-1659)
DA VITA NOSTRA E MORTE
[...] Dolce cossa è la vita. I polesíni
a pena uscíi dal vuovo e ponti vivi,
se ben de mente e d'intelletto privi,
della vita è gelosi, i coresíni.
E s'el nebio o el buzzò ghe dà de becco
e che i cogne morir, vedé che i tira
i so peníni, e i pòntola, e i sospira
per non restar in calma eterna, in secco.
In soma, sto restar sabion da ore,
sto aver la fossa certa e 'l resto in sorte,
e sto ingiotir come un boccon la morte,
me pesta i sensi e me dà le cottore.
Giovanni Francesco Lazzarelli (1621-1692)
DALLA CICCEIDE
L'Autore per i Critici della Cicceide.
CCCXIII.
Certi, che non avendo altro da fare,
Stan sempre sul notar gli altrui difetti,
Sento, che si son messi a criticare,
Cercando il pel nell'uovo, i miei Sonetti.
Onde alle man di questi Zoiletti
D'esser quella gallina omai mi pare,
Sopra la qual da trinciator' provetti
I manco esperti imparano a tagliare.
Io però non mi pongo a biasimarlo,
E siasi cosa facile, o scabrosa
Cercare il pel nell'uovo, io non ne parlo;
Ma dato ancor, che sia difficultosa,
Egli è certo però, che il ritrovarlo
Tra l'uova de' C.... è facil cosa.
Giulio Cesare Cordara (1704-1785)
DA GL'INSETTI
Se poi dovessi dir quello ch'io sento
Del modo onde una mosca si compone,
Qual n'è il fabbricator, qual l' istromento,
Confesso che vien men la mia ragione,
Perchè nella putredine non trovo
Per opra tal virtù nè proporzione.
Ma quei che la fan nascere dall'ovo,
Confusi al par di me convien che sieno,
Spiegar volendo ciò ch' avvien di nuovo.
[...]
Questa sempre sarà la mia sentenza,
Ch' in astruso cammin non mi vergogno
In aiuto chiamar l' Onnipotenza.
Nè tutto a fondo penetrare agogno,
Come fanno oggidì certi, che appunto
Ne vogliono saper più del bisogno.
Giosuè Carducci (1835-1907)
TRADUZIONE DI UNA SATIRA LATINA DI CORDARA
Egregiamente
Tu parlerai se ad ogni passo ne le
Favole conte un ellenismo piova,
Ed una doppia e pur di greca stirpe
Vocetta nuova. Né oggimai piú tonda
Ma ciclica per te sia la padella
Ed elliptico l’uovo e microcosmo
L’uomo; e a’ ruscelli ed a gli uccelli e a’ nembi
De’ poeti e a le selve de’ pittori
Titolo affiggerai sacro, parergon.
Oh se Pindaro in bocca alcuna volta
E Tucidide a te suoni e le pure
Nèfele d’Aristofane o d’Omero
La rapsodia divina! Quali rughe
Mirabonde vedrai, quali udirai
Voci di sofi: — Oh greco dal ciel messo! —
Meno s’affigge con aperta bocca
La contadina, quando a leî pensosa
De la quartana del marito apprende
Affetto lui di lento emitriteo
Il medico verboso e con ambage
Lungi filata attonita l’avvolge.
Corrado Govoni (1884-1965)
DA FUOCHI D'ARTIFIZIO (1905)
Sabato Santo
[...] Le imagini ed i crocefissi sono imbacuccati
di violetto ed i vasi ànno dei fiori disseccati
simili a quelli morti dentro i libri di memorie.
Dei fanciulli in ginocchio per il limitare
battono degli ordegni fatti con il biodo.
Oggi si tinge d'erba spagna l'uovo sodo
o con pezze a colori per giuocare
domani nel sagrato a chi lo può prima scocciare.
Stridono ancora delle raganelle.
La nativa casupola è in faccende.
Nel salotto si miser, le primaverili tende.
Sul prato frullano le rondinelle;
ed il forno è fragrante di ciambelle.
Piero Bigongiari (1914-1997)
DA TORRE DI ARNOLFO (1964)
Cielo toscano
Sigilla o dissigilla questo cielo
nebbioso la pavoncella? Vi spare
pluviale farfalla lamentandosi,
con la sua verdazzurra ceralacca.
È mota informe l'orma che ha lasciato
il bove negli arati: per le uova
culla infida, segnacolo di vita
appena se la vanella aumenta
il suo volo dimentico. Sigilla
o dissigilla il cielo? Ed io t'amo,
io t'amo o t'allontano?, se nel cavo
della tua mano vuoto la carezza
del suo fuoco... È un addio tepido quanto
vi continua la vita e la rimanda all'informe
dove ogni forma dorme
e separa molecola da molecola.
Cielo toscano, quanto so, quanto amo,
indivisibile tra stagni, marcite,
lampi, bufere, specchi inabissati,
sigillo, dissigillo, vana specola.
Antonio Porta (1935-1989)
DA CARA (1969)
Intervento dell'utopia nel racconto
a)
Esiste la sfera d'oro l'uovo
cerchio puro immaginato in forma
d'uovo:
al centro della montagna è il grande uovo
trasparente tutta di cristallo gelatina
medusa
si rovescia fuori in pioggia di meduse
stellari infinite forme arancione registrate
all'interno
trasparente quel punto dove si sospende indica
la freccia amaranto la punta gigantesca arroventa
fino da lontano
ingigantendosi sempre più da lontano cresce
guardandola avvicinandosi lo sappiamo che c'è
una volta
arrivando incontrandoli su quella soglia messaggeri
muovendoci con decisione trattenuti per gli ultimi mantelli
con la spada di fuoco
la scatola d'argento navigando lungo il fiume di pietra
drizzati con i capelli in ciuffi alti il ciuffo-chiave
cucito sotto la pelle proteggono i testicoli sotto la verga
è il cazzo d'oro
partiti nel giorno indispensabile dei morti sempre
meno correndo sempre con meno affanno incominciando
l'uovo
rivedendolo dopo la curva più stretta sospeso
lo trattiene la rete dei capelli trasparenti
la montagna
le bacinelle con l'acqua gelosamente conservandole
il giorno in cui si cade per morire per continuare di corsa
a frustate
rapidamente liberati infliggendone numerose ai presenti
uccidendo i necessari scambiate le fruste con serpenti
a due code
a due teste vomitati un momento prima d'essere squartati
è il serpente-padre prima della disfatta disceso
la sfera
sopra di noi le infinite varietà di uccelli indicatori
precipitando nell'uovo sciogliendosi tra le piante
la fanciulla-cintura
salvezza scendendo ai nostri piedi violata
tra le cosce nella montagna di quarzo risolutiva
in volo
l'uovo esplodendo coltivazione sopra gli uccelli-concime
è il regno dei vivi.
Gian Mario Villalta (1959)
DA VOSE DE VOSE (1995)
(L'è pena le diese, la xente
la se sparnissa, ogni un
par la so strada, come s'i 'ndesse fora
dal cine o da n'ospedal. L'è sol
che le diese, no se pol
dirghe a la compagnia che se vol
'ndar drìo i fati nostri, star siti
par conto suo, e no a l'osteria
de ogni sera, 'ndo che par colmo
de fantasia l'è scrit su u carton
"oggi pinza e vin buon"
- i stessi ch'i véa da novembre
co'l mandolato e'l paneton
e doman te li tira drìo
par poc e gnent, par pinìr el bancon
de ovi de cicolata e de colombe.
Elisa Biagini (1970)
DA CORPO. CLEANING THE HOUSE (2003)
lucky
è questo l'uovo
con 2 rossi,
- spaccato, come
fosse Pasqua -,
2 le pozze di
me, rossi capelli,
rosso midollo,
2 specchi /
bocche per
mangiarmi meglio.